Israel Adam
Shamir, Per il
sangue che avete sparso,
Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 2009, € 15,00
Shamir
fa strame dell'argomento "olocaustico", da lui
respinto come un ricatto puro e semplice: "Dobbiamo
negare il concetto di Olocausto senza dubbi ed
esitazioni, anche se tutte le storie dell'Olocausto,
fino alla versione più assurda, quella di Wiesel,
fossero assolutamente vere. Ne consegue che le
discussioni tecniche sulla mortalità ebraica sono
perfettamente legittime ma superflue, come superflua
è per un ateo la diatriba se una balena abbia potuto
o meno ingoiare Giona".
Quella di Shamir non è una
battaglia per la verità storica. Quello che egli
rifiuta è la posizione di (pseudo)superiorità morale
che in tal modo gli ebrei del mondo intero si
attribuiscono. Lo si vede bene in questi giorni,
quando si spandono dappertutto gli slanci di
solidarietà delle comunità ebraiche verso una
politica di massacro dei civili, delle donne e dei
bambini che nessun altro al mondo approverebbe.
Tutti i codici penali dicono che
la complicità col crimine è un crimine. Fanno
eccezione gli autoproclamati dirigenti ebraici. Essi
hanno costruito una fortezza morale che li protegge,
ma isolandoli. Shamir la vuole smantellare. Ecco
perché egli è solo, del tutto sconosciuto in
Israele, vagamente denunciato come "antisemita"
all'estero, come lo è ogni persona normale che non
accetta la glorificazione dei crimini contro
l'umanità, commessi sotto i nostri occhi ogni giorno
che passa, dal 1936... (…)
La presente raccolta si conclude con
un testo che analizza le relazioni instauratesi
nella nostra epoca tra il giudaismo organizzato -
spesso in forma di sionismo - e le grandi potenze.
E' un vastissimo dominio, nel quale Shamir è molto
attivo. Egli ha pubblicato numerosi articoli su
questo tema. Qui egli si occupa della Dichiarazione
Balfour, degli Stati Uniti, del tabù del "potere
ebraico", di Stalin e, argomento più originale, del
modo in cui gli ebrei americani hanno approfittato
del fatto di essersi messi più o meno alla testa del
movimento d'emancipazione dei negri americani. Qui
c'è qualcosa da scavare, tanto più che il periodo
inaugurato dalla presidenza di Obama avrà proprio
tale questione come immagine di sfondo.
L'Autore: Israel Shamir, diventato Adam
Shamir dopo la sua recente conversione
all’Ortodossia, è nato nel 1947 a Novosibirsk, in
Siberia. Espulso nel 1969 dall’università per
attività sovversiva, ha lasciato l’URSS e si è
stabilito nella Palestina occupata dai sionisti.
Girando per il territorio palestinese in qualità di
corrispondente del giornale “Ha’aretz”, ha scoperto
l’assurdità del progetto di uno stato ebraico;
attraverso un’intensa attività letteraria e
giornalistica, ha denunciato i crimini sionisti e si
è fatto sostenitore di un unico Stato palestinese
tra il Giordano e il Mediterraneo, nel quale possano
rientrare i Palestinesi scacciati dalle loro case ed
espropriati della loro patria. Nel 2002 suo figlio è
stato arrestato, deportato ed espulso per aver
rifornito di cibo e medicine i Palestinesi assediati
nella Basilica della Natività.
PREFAZIONE
Para Serge
Thion
Fu verso la
fine dell'anno 2000, poco dopo l'inizio della
seconda Intifada, che la mia attenzione venne
attratta da alcuni articoli scritti in russo da un
cittadino israeliano nato a Novosibirsk. La tundra
gelata della Siberia occidentale è lontana dalle
sabbie del Sinai, dove egli aveva svolto il servizio
militare nel 1973, durante la guerra del Kippur.
Bisognava tradurre quegli articoli, pubblicati sul
periodico russo "Zavtra", perché avevano un accento
nuovo. Ben presto, però, l'autore si mise a
scriverli in inglese, rendendoli più accessibili. A
quanto mi risulta, non ha mai scritto in ebraico,
anche se la sua produzione giornalistica aveva come
argomento la critica d'Israele, della sua società,
della sua politica, delle sue scelte militari.
Certo, Shamir non era né il primo né l'unico a
criticare Israele dall'interno. Precedentemente,
negli anni '60-'70, avevo letto in traduzione molti
articoli di Uri Avnery apparsi su "Ha-Olam ha-Zeh".
Avnery sosteneva un'idea che all'epoca mi sembrava
avesse un futuro: auspicava che lo Stato d'Israele
rompesse con gli ebrei e col giudaismo, abolisse la
Legge del Ritorno, che consente agli ebrei della
Diaspora di venirsi ad installare in Israele
reclamandone la cittadinanza e crea una nazionalità
"ebraica" riservata a quanti si insediano in tal
modo in Palestina. Ciò non avrebbe risolto affatto
la questione della presenza araba, ma sarebbe stato
un passo nell'integrazione nel Vicino Oriente.
Avnery e il suo
giornale si rivolgevano agl'israeliani, nella loro
lingua, una lingua che secondo molti essi parlano
male, avendola appresa a forza nei campi
d'integrazione al momento del loro arrivo in
Palestina.
All'epoca
disponevamo a Tel Aviv di un gruppetto di militanti
di sinistra che traduceva settimanalmente, in un
bollettino ciclostilato, gli articoli più rilevanti
della stampa israeliana, la quale già allora era
molto più libera, nei toni e nelle analisi, che non
la stampa internazionale, sempre inginocchiata
davanti ai portavoce ufficiali del governo, insisto,
di Tel Aviv. Da qualche parte conservo ancora,
almeno lo spero, delle casse piene di questi
bollettini, che ci permettevano di gettare
dall'estero una sorta di sguardo indiscreto sui
meccanismi politici, sugli affari scandalosi che si
succedevano a raffica, sulle evoluzioni della
tecnica di ricatto internazionale con cui Israele,
uno stato privo di risorse, di spazio e di denaro,
assicurava la propria difficile sopravvivenza.
In seguito,
nella misura in cui la piccola sinistra radicale si
dissolveva per l'incapacità di assumere posizioni
chiare e nette nei confronti delle elementari
rivendicazioni dei Palestinesi (i belati di "pace
subito" non impressionavano i militaristi
israeliani, largamente maggioritari, anche a
sinistra), un solo uomo avrebbe preso la staffetta e
si sarebbe sobbarcato un lavoro colossale, fornendo
a noi, che dall'esterno criticavamo apertamente
Israele, non solo traduzioni, ma anche studi e
analisi di fondo: Israel Shahak. Dotato di un senso
morale elevato, totalmente sprovvisto delle
sottigliezze e delle ipocrisie del mondo talmudista,
era un grande spirito. Quest'uomo non s'ingannava
mai e talvolta noi riuscivamo ad avere con lui degli
scambi d'idee per il tramite di terze persone (1).
Aveva creato una Lega dei Diritti dell'Uomo e del
Cittadino, della quale era sicuramente l'unico
membro, o quasi. Ma egli comprendeva molto bene la
mentalità e il pensiero dei dirigenti politici,
religiosi e militari del paese e poteva chiarirci
quelle nere voragini. E' morto di malattia nel 2001.
A Shahak è
subentrato Shamir, senza dubbio involontariamente,
ma con una personalità molto diversa e,
riconosciamolo, alquanto misteriosa. Egli ci ha
detto che è stata la seconda Intifada a indurlo a
scrivere. Quando gli si pongono delle domande sulla
sua vita precedente, sulla quale i suoi nemici fanno
circolare ogni sorta di dicerie, si ottengono solo
delle battute. Quello che sembra certo, è che negli
anni '80 si guadagnava da vivere come
guida
turistica, al servizio di una clientela
prevalentemente russa. A Mosca, dove ha conservato
le sue relazioni, aveva pubblicato un libro che si
presentava come una guida alle sorgenti e alle
fontane delle colline palestinesi, della Palestina
storica: Il pino e l'ulivo, 1987.
Passeggiate a
piedi o a dorso d'asino attraverso gli uliveti,
interrotte da bagni nelle cisterne alimentate dalle
sorgenti: questo "itinerario in Terrasanta", che
veniva ad aggiungersi ad altri libri simili, non
mancava di fascino. Ma il demone della politica
vigilava. L'autore intraprese una revisione completa
di questo libro inconsueto ed affascinante per
inserirvi i risultati della nuova esperienza: la
sollevazione palestinese e le reazioni cieche della
casta politico-militare che regna sul paese. Essa si
incarica di risolvere la quadratura del cerchio:
estendere il dominio sionista il più possibile e al
contempo ridurre a zero la lancinante rivendicazione
palestinese. Infatti i Palestinesi hanno, in fin dei
conti, una sola rivendicazione, semplice e
legittima: che gli ebrei ritornino là da dove sono
venuti. Fra i Palestinesi, nessuno vuol loro del
male, ma nessuno accetterà mai che gli ebrei
scaccino gli abitanti autoctoni per impadronirsi dei
loro beni, della loro terra, della loro acqua,
dell'aria che essi respirano.
Qualunque
popolo della terra reagirebbe allo stesso modo. Ai
miei amici italiani che dicono che i Palestinesi
esagerano, io rispondo: E quando i Tedeschi
occupavano il vostro paese, si doveva permettere
loro di espropriarvi e di assoggettarvi, o
sollevarsi contro di loro e scacciarli?
Il libro del
1987 fu dunque attualizzato e ripubblicato a Mosca
nel 2004, profondamente cambiato. Ne esiste adesso
una traduzione francese che è possibile leggere con
l'occhio dell'archeologo, per ritrovarvi i diversi
strati di un sito antico, lasciati nella condizione
di fondamenta dal tempo che passa e che apporta le
sue contraddizioni (2).
Bisogna
ricordare, inoltre, che si tratta del solo libro
scritto da Shamir. Tutti gli altri sono raccolte
d'articoli. Da essi traspare la tentazione,
affiorata in un momento in cui Shamir poteva pensare
che i Palestinesi avrebbero imposto le loro vedute,
di entrare in politica. Non sarebbe stata la prima
volta. Negli anni '80 egli era stato, diceva,
portavoce del Mapam nel parlamento israeliano...
Forse Shamir è
in attesa della sua ora. Secondo me egli dovrebbe
essere collocato in quel genere variegato che viene
chiamato "post-sionismo", ossia nella corrente
alquanto eterogenea di quegli israeliani i quali
hanno capito che Israele non potrà conservarsi tale
e quale in un Vicino Oriente sconvolto dal suo
espansionismo e dal suo razzismo. Costoro (come Uri
Avnery negli anni '60) preconizzano l'abbandono del
sionismo e dei suoi scopi militari, insieme con la
graduale trasformazione degl'israeliani in una tribù
fra le tante del Vicino Oriente, e ciò per
assicurarne la sopravvivenza, con l'idea, nascosta
ma percettibile, che gli ebrei, più abili e più
attivi nel dominio finanziario ed economico,
troveranno presto una posizione di dominio nel
Vicino Oriente nonché un'espansione della loro
influenza, inimmaginabile nell'attuale momento
storico, contrassegnato da guerre sempre più inutili
e in perdita. Un giorno ho chiesto a Shamir se egli
si collocasse tra i "post-sionisti" e lui mi ha
risposto: "No; d'altronde questo gruppo non esiste
più, si è dissolto". Come gruppo, forse; ma come
necessaria riflessione politica, certamente no.
L'avvenire d'Israele è estremamente oscuro, tutti
gl'israeliani lo vedono bene. E i tamburini
all'estero non possono ignorarlo. Il mostro si
precipita in un vicolo cieco. E i dirigenti
israeliani, dopo un periodo trascorso al potere,
sono obbligati a riconoscerlo. Begin era saltato giù
dal treno in corsa. Itzhak Rabin, capo militare e
falco quant'altri mai, aveva finito per pensare che
bisognava trovare un terreno d'intesacoi Palestinesi
e aveva stretto la mano al supernemico dell'epoca,
il piccolo Hitler arabo, Yasser Arafat. Un crimine
pagato con la vita, che ha ritardato le scadenze.
Sharon, l'abominevole boia di Sabra e Chatila, aveva
fatto lui stesso una mezza svolta spettacolare
evacuando Gaza e riconoscendo in tal modo che
l'espansione voluta dal sionismo era giunta al suo
termine. Il pallido Olmert, all'indomani delle sue
dimissioni da primo ministro, riconosce che la sua
politica non va avanti.
Dunque, siccome
Israele è un fallimento, occorre salvare gli ebrei
che vi si trovano. Credo che sia questo il
post-sionismo, e che Shamir vi si trovi dentro in
pieno. Abbandonare il vecchio progetto dei due
"Stati", che gl'israeliani hanno continuamente
sabotato, e militare per uno Stato unico,
democratico, "un uomo un voto" (vecchia
rivendicazione del movimento anti-apartheid nel
Sudafrica) è un modo - i democratici non me ne
vorranno se lo sottolineo - per mantenere al potere
l'élite politico-finanziaria.
Shamir è a
favore di ciò, poiché, al di là delle critiche
estremamente pertinenti che rivolge all'Israele
odierno, egli vuole riformare gli ebrei, vuole farli
rinunciare alle loro immonde abitudini vittimistiche
e colpevolizzatici, alla loro religione assurda, per
convertirli, almeno in superficie, al cristianesimo,
che apre le porte del mercato universale. Questa
prospettiva non mi sembra realistica. Il peso dei
crimini commessi dai sionisti è un himalaya, a
confronto delle colline naziste. Il fiume di sangue
che i sionisti hanno fatto scorrere dal 1936 in qua
è troppo ampio, perché adesso lo possano varcare
dicendo "Dimentichiamo tutto e diventiamo soci".
Dappertutto, nel Vicino Oriente, il rigetto è
viscerale, violento. Gli ebrei dovranno andarsene
via e l'avventura sanguinosa del sionismo dovrebbe
essere "cancellata dalle pagine del Tempo", come
diceva poeticamente l'imam Khomeyni, fedelmente
ripreso dal presidente Ahmadi Nejad. Io dunque ho
provato un grande interesse per le critiche di
Shamir, fin dalla prima lettura dei suoi scritti. E
ho contribuito, con altri, a farle conoscere. Le
pagine che seguono mostrano l'estensione e il rigore
delle sue critiche che concernono Israele, ed anche
gli ebrei (3).
Shamir fa
strame dell'argomento "olocaustico", da lui respinto
come un ricatto puro e semplice: "Dobbiamo negare il
concetto di Olocausto senza dubbi ed esitazioni,
anche se tutte le storie dell'Olocausto, fino alla
versione più assurda, quella di Wiesel, fossero
assolutamente vere. Ne consegue che le discussioni
tecniche sulla mortalità ebraica sono perfettamente
legittime ma superflue, come superflua è per un ateo
la diatriba se una balena abbia potuto o meno
ingoiare Giona". Quella di Shamir non è una
battaglia per la verità. Quello che egli rifiuta èla
posizione di (pseudo)superiorità morale che in tal
modo gli ebrei del mondo intero si attribuiscono. Lo
si vede bene in questi giorni, quando si spandono
dappertutto gli slanci di solidarietà delle comunità
ebraiche verso una politica di massacro dei civili,
delle donne e dei bambini che nessun altro al mondo
approverebbe. Tutti i codici penali dicono che la
complicità col crimine è un crimine. Fanno eccezione
gli autoproclamati dirigenti ebraici. Essi hanno
costruito una fortezza morale che li protegge, ma
isolandoli. Shamir la vuole smantellare. Ecco perché
egli è solo, del tutto sconosciuto in Israele,
vagamente denunciato come "antisemita" all'estero,
come lo è ogni persona normale che non accetta la
glorificazione dei crimini contro l'umanità,
commessi sotto i nostri occhi ogni giorno che passa,
dal 1936... Potrei entrare nei particolari,
perfettamente documentati, ma ci vorrebbero volumi
interi... Uno degli aspetti della critica del
giudaismo in cui Shamir è andato più lontano di
molti commentatori, è la cosiddetta questione
dell'"omicidio rituale", dell'accusa del sangue.
Da secoli,
ogniqualvolta si è verificato uno di tali episodi
(più di un centinaio), i reponsabili ebraici hanno
negato su tutta la linea che fosse mai stato loro
consentito di utilizzare il sangue dei cristiani nei
loro riti. Tali accuse sarebbero dunque il risultato
di un "odio per gli ebrei" che essi vedono
dappertutto e che sarebbe spontaneamente prodotto
dalla civiltà cristiana. L'ultimo considerevole
episodio di questo genere ebbe luogo a Kiev nel
1911: l'affare Bejlis. L'epoca attuale ne ha
dimenticato i particolari (4).
Una iniezione
di memoria ci è stata fatta da quello che si
potrebbe chiamare l'affare Toaff: un'esplosione di
imprecazioni edi maledizioni si è abbattuta sullo
sventurato rabbino, figlio di rabbino, che insegna
in un'università religiosa in Israele! Perché questo
uragano? Per il semplice motivo che ha parlato
dell'accusa di omicidio rituale, senza premettere
che gli ebrei sono assolutamente innocenti,
dappertutto, in ogni luogo dell'universo, in ogni
momento della storia. Egli ha semplicemente
menzionato questa impossibilità dopo aver
sollevato la questione di ciò che era realmente
avvenuto... nel 1475! In effetti, nonostante un
procedimento esitante e tortuoso, Toaff conferma
l'esistenza del delitto rituale, ma dichiara
innocenti gli ebrei di Trento: degli aschenaziti
(lui è sefardita) che praticano riti magici con
sangue essiccato. Da dove proviene questo sangue?
Nel libro non lo dice. Al telefono, mi risponde:
"Gli ebrei lo hanno comprato da rivenditori
ambulanti". Pura supposizione. Se così fosse stato,
i sospettati non avrebbero mancato di dire a quali
condizioni e da chi essi avevano comprato il sangue
essiccato, ingrediente usato in rituali di vario
genere: non solo per gli azimi della Pasqua, ma
anche per il matrimonio, la circoncisione ecc.
Inoltre, tutto ciò non spiega la presenza, come
nella maggior parte dei casi analoghi, di un bambino
dissanguato.
Insomma, Toaff
ha aperto la porta ad una nuova riflessione
sull'argomento, anche se ha cercato di esentarsene.
Di qui il ritiro del libro scandaloso e la nuova
edizione, appena ritoccata, un anno dopo; e tutto
ciò nell'impressionante silenzio della stampa, che
ha totalmente dimenticato l'isteria e le
imprecazioni dell'anno precedente.
A noi, che non
siamo specialisti della storia degli ebrei nel Medio
Evo, è stato Shamir ad aprirci la porta, dandoci la
possibilità di riflettere e di superare
l'affermazione apodittica, mille volte ripetuta,
secondo cui gli ebrei non avrebbero mai potuto
commettere simili infamie. Dietro quella porta, così
solidamente barricata, si trovava un fascicolo
mastodontico, di una chiarezza quasi accecante, che
stabiliva la realtà assolutamente incontestabile di
siffatte pratiche criminali e del sistema
negazionistico instaurato fin da principio,
nell'Inghilterra del XII secolo. La faccenda viene
riassunta in maniera egregia nella ricerca di
Vladimir Ivanovic Dahl, folclorista e linguista
insigne, che nel 1844 venne incaricato di redigere
una relazione per il Ministero degl'Interni di
Mosca. Dopo una lunga inchiesta, condotta presso
tribunali e uffici di polizia, Dahl compilò un
rapporto che stabiliva formalmente la realtà
fattuale di tali pratiche criminali (5). Egli
mostrava anche come le "comunità" ebraiche si
ingegnavano a comprare i giudici e soprattutto come
reclamavano dal potere politico il divieto delle
inchieste su questo argomento, cosa che finirono per
ottenere. Anche il rapporto di Dahl fu sul punto di
scomparire, più d'una volta. Se esiste un tentativo
negazionista, è proprio quello che ritroviamo in
tutte le fasi e in tutti i luoghi in cui sono state
formulate delle accuse - perfettamente fondate, se
si studiano bene i fatti - contro certi praticanti
di magia medioevale, sicuramente minoritari, che
agivano all'interno delle società ebraiche.
Un autore russo
poco noto fuori dalla Russia, Vasilij Vasilievic
Rozanov, ci viene presentato da Israel Shamir a
proposito di un saggio sugli ebrei, scritto in una
lingua difficile, che non è mai stato tradotto.
Shamir impiega anche i dati forniti da uno storico
israeliano di stretta osservanza rabbinica, Israel
Jacob Yuval, il cui libro, eccellente, è stato
finalmente pubblicato negli Stati Uniti nel 2006. Lo
stesso Yuval si è mostrato di un'eccezionale
severità nei confronti del suo collega Toaff, che
non aveva avuto il tempo di leggere... "My point
of departure was that the blood libel was a lie, a
misunderstanding, something that never happened,
he said. What he did was to go one step further:
he took the fiction and made it into a reality"
("Forward", 16 febbraio 2007).
La presente
raccolta si conclude con un testo che analizza le
relazioni instauratesi nella nostra epoca tra il
giudaismo organizzato - spesso in forma di sionismo
- e le grandi potenze. E' un vastissimo dominio, nel
quale Shamir è molto attivo. Egli ha pubblicato
numerosi articoli su questo tema. Qui egli si occupa
della Dichiarazione Balfour, degli Stati Uniti, del
tabù del "potere ebraico", di Stalin e, argomento
più originale, del modo in cui gli ebrei americani
hanno approfittato del fatto di essersi messi più o
meno alla testa del movimento d'emancipazione dei
negri americani. Qui c'è qualcosa da scavare, tanto
più che il periodo inaugurato dalla presidenza di
Obama avrà proprio tale questione come immagine di
sfondo. Un unico rimprovero, forse, potrebbe essere
rivolto all'Autore: che azzarda delle profezie
ricorrendo a parallelismi con la storia sacra.
Questa storia è quello che è: una fabbricazione
antica e molto elaborata, ma le profezie traggono
origine da un messianismo giudaico e cristiano al
quale gli spiriti razionali dovrebbero rinunciare,
poiché l'avvenire è a loro del tutto sconosciuto. I
Greci lo sapevano bene: gl'indovini dovevano
essere ciechi!
9 gennaio 2009
Serge Thion
(1) Alcuni
articoli sono disponibili all'indirizzo seguente:
http://www.geocities.com/israel_shahak/press.htm
(2) Le Pin
et l'Olivier, ou les charmes discrets de la terre
sainte, tradotto dal russo da Marie Bourhis,
Surge Books 2007, 382 pp.
(3) Un buon
numero di articoli del primo periodo è disponibile
in un libro tradotto in italiano, Carri armati e
ulivi della Palestina - il fragore del silenzio,
238 pp., pubblicato nel 2002 a Pistoia dalla casa
editrice CRT (tel. 0573 976124). Questo libro è
stato distribuito pochissimo, ma senza alcun dubbio
merita ancora di essere letto.
(4) La presente
raccolta contiene la traduzione del primo articolo
di Shamir su questo argomento. L'originale inglese
si trova in
http://www.israelshamir.net/English/blood.htm
Gli articoli sul suo sito non sono datati, ma il
mio elaboratore elettronico indica: 20 luglio 2003.
La pubblicazione del libro di Toaff ha provocato la
pubblicazione di altri due articoli sulla medesima
problematica: The Bloody Passover of Dr Toaff,
che fu oggetto della dissertazione di Shamir nel
seminario di Claudio Moffa all'Università di Teramo,
il 18 aprile 2007, e Follow-up.
http://www.israelshamir.net/English/Eng11.htm e
http://www.israelshamir.net/English/Eng13.htm
sono basati sulla lettura della stampa, non su
quella del libro stesso di Toaff, che Shamir non
poteva leggere per ragioni di lingua. (Una
traduzione inglese, non autorizzata, è apparsa
successivamente in rete).
(5) Il rapporto
è accessibile nell'originale versione russa:
Rozysaknie o ubienii evreiami khristianskikh
mladentsev i upotreblenii krovi ikh [Inchiesta
sull'omicidio di fanciulli cristiani da parte degli
ebrei e sull'uso del loro sangue], San Pietroburgo
1844, 172 pp.
http://www.aaargh.com.mx/fran/livres7/DALrozysk.pdf