Si avvicina il
collasso di Israele, si fa più feroce il complotto
contro i palestinesi.
Manno Mauro
Cosa succede ai
palestinesi? Invece di lottare contro una delle più
orribili occupazioni della storia, il popolo palestinese
si divide e si fa la guerra civile?
Chi è privo di
strumenti per capire cosa stia avvenendo oggi in tutto
il Medio Oriente potrebbe giungere a questa conclusione.
Ma sbaglierebbe, perché non comprende che quanto più si
addensano le difficoltà per gli oppressori, e quanto più
si fanno scure le nubi della tempesta, tanto più essi
tramano complotti per tentare di restare a galla.
Per orientarsi
nella complessa situazione di una regione in cui si sono
accumulate tante contraddizioni, sono state commesse
tante ingiustizie e in cui le speranze di soluzione sono
andate regolarmente ad infrangersi contro le forze del
sionismo e dell’imperialismo americano, è assolutamente
necessario guardare la realtà con attenzione e senza
quei metri di giudizio che ci derivano da schemi mentali
vecchi e sorpassati, oltretutto, occidentali. Primo tra
questi quello tipico della cosiddetta sinistra che
considera sempre positivo il laicismo, negativo tutto
quello che è religioso. Nel nostro caso, stiamo parlando
di Hamas.
È un tipico
errore dell’Occidente dove le forze della religione
hanno avuto storicamente un ruolo di conservazione
rispetto alle forze del liberalismo e del socialismo.
Altro errore sempre più diffuso è quello di equiparare i
movimenti religiosi nel mondo islamico con l’estremismo
o il terrorismo.
Il piano
sionista
La vittoria
elettorale del 2005 di Hamas, un movimento di
liberazione fortemente caratterizzato dalla religione
islamica, ha precipitato nella confusione e nello
spavento i sionisti e gli imperialisti americani. Dopo
il fallimento di Oslo, era naturale che una situazione
di stallo nelle “trattative”, accompagnata dalla
continua e selvaggia colonizzazione da parte di Israele,
sfociasse nel progressivo indebolimento di quelle forze
come Fatah che avevano puntato sul processo di “pace” e,
in mancanza di risultati, avevano finito per costituire
un regime (senza Stato) mantenuto dalla corruzione
derivante dalla spartizione degli “aiuti” americani e
europei. Di questi ben poco giungeva al popolo
palestinese e quel poco che esso otteneva sotto forma di
sovrastruttura civile, veniva immediatamente distrutto
dagli interventi militari israeliani.
Il progetto
israeliano era quello di indebolire sempre più il
Presidente Arafat prima e Abu Mazen dopo e tutta
l’Autorità Nazionale Palestinese. Contemporaneamente il
piano di Sharon prevedeva la creazione unilaterale, sul
campo, di una situazione irreversibile, col muro, gli
insediamenti ebraici e i bantustan palestinesi. I due
processi - indebolimento ANP e bantustan palestinesi -
dovevano portare alla fine alla “pace”: Agli israeliani
il 90% della Cisgiordania e il 100% di Gerusalemme Est,
tutta l’acqua della Palestina e il controllo dei
confini; ai palestinesi un pugno di mosche, cioè quattro
prigioni a cielo aperto divise tra di loro che il mondo
occidentale avrebbe accettat come “Stato Palestinese”.
La prima di queste prigioni era Gaza, che Sharon ha
sgomberato nel 2006.
La Road Map,
come ha ammesso recentemente perfino un generale
israeliano, era solo un pretesto per prendere tempo, uno
specchietto per le allodole per l’UE, i governi
occidentali e la gente di buone intenzioni ma di
cervello limitato.
Questo piano
coloniale e razzista veniva sconvolto dalla vittoria di
Hamas. Se una ANP indebolita e corrotta, mantenuta coi
denari dell’Occidente, se un presidente incapace e
insignificante come Abu Mazen, avrebbero forse accettato
un “compromesso” come quello pensato dai sionisti, era
evidente che Hamas non lo avrebbe mai fatto. Il popolo
palestinese aveva eletto democraticamente i suoi
rappresentanti perché non lo facessero.
Per gli USA e i
sionisti, le elezioni rappresentavano una sconfitta di
cui vendicarsi al più presto.
Stati Uniti e
Israele
Qui s’impone un
chiarimento sulle differenze e le convergenze tra la
politica mediorientale degli Stati Uniti e quella di
Israele e della lobby ebraica in America. Chi parla
dell’importanza della lobby ebraica nella società
americana e della sua incidenza nella politica
mediorientale degli Stati Uniti viene spesso, se non
sempre, accusato di esagerarne il ruolo e di sminuire il
carattere imperialista degli USA in Medio Oriente. Lo si
accusa, in altri termini, di pensare che l’intervento
imperialista USA in Medio Oriente sarebbe positivo se
non ci fosse la lobby o Israele. Questa critica ne
nasconde un’altra ben più maligna, che cioè chi parla
della lobby cela dietro il termine l’idea del complotto
ebraico che con l’inganno è penetrato nell’apparato
decisionale americano e ne distorce la politica a suo
favore, secondo un piano di dominio mondiale ebraico del
tipo “Protocolli dei Savi di Sion”. Sciocchezze !
L’obiettivo
della superpotenza imperialista americana è il dominio
sul Medio Oriente. Ciò comporta: 1) l’eliminazione di
tutte le forze, paesi o partiti e movimenti, che si
oppongono ad esso, 2) il sostegno a Israele agli stati
“moderati” (stati clienti) come Egitto, Giordania, paesi
del Golfo e Arabia Saudita, 3) la creazione di uno Stato
debole e federale in Iraq dove Kurdi, Sciiti e Sunniti
si contrastino a vicenda in un equilibrio precario di
cui si fanno garanti gli americani con una loro presenza
stabile nel paese, 4) il contenimento, accerchiamento e
sovversione (Regime
Change) o, se necessario, bombardamento e
eventualmente invasione dei paesi “canaglia” Iran e
Siria. 5) il rafforzamento delle forze filo-occidentali
in Libano e soluzione favorevole a Israele e all’America
della situazione di stallo nel paese, con il disarmo e
lo smantellamento di Hezbollah.
In Palestina
l’obiettivo della superpotenza americana richiede
l’appoggio alle forza filo-occidentali di Fatah e il
disarmo e smantellamento di Hamas, ma anche la creazione
di uno staterello palestinese da affidare a un governo
amico degli USA e di Israele.
Sembrerebbe
dunque che gli obiettivi americani e quelli israeliani
coincidano esattamente ma non è proprio così.
Gli Usa, per
garantirsi una supremazia duratura e possibilmente poco
costosa nella regione, sarebbero disposti alla creazione
di uno Stato palestinese viabile su quei territori che
la Risoluzione 242 chiede a Israele di liberare. Nel
passato hanno chiesto a Israele di smantellare la
maggior parte delle colonie e qualche serio compromesso
territoriale (scambio di territori). Sinceramente non
vedo perché gli Stati Uniti dovrebbero opporsi alla
creazione di uno Staterello palestinese possibilmente
amico e riconoscente. Un altro Stato cliente come la
Giordania o forse in qualche modo associato ad essa. Il
che farebbe felice Abdallah, il figlio del “piccolo re”.
Cosa ci
perderebbero gli Usa dalla creazione di un simile Stato?
Niente. Ci guadagnerebbero invece moltissimo perché
vedrebbero rafforzata la loro posizione nella regione,
darebbero un aiuto importante agli stati “moderati”
arabi, toglierebbero una ragione di reclutamento ad Al
Qaida e indebolirebbero enormemente l’influenza di Siria
e Iran in Medio Oriente. Ma gli Usa possono operare per
la creazione di uno Staterello palestinese?
Verrebbe
spontaneo dire che, siccome gli Usa sono l’unica
superpotenza rimasta, essi possono fare quello che
vogliono e possono costringere Israele a cedere ai
palestinesi i territori occupati nel 1967, ma sarebbe
dire cosa non esatta. Se così non fosse dovremmo
concludere che gli Stati Uniti, visto che fino ad ora
non è avvenuto alcun ritiro israeliano, non vogliono
assolutamente uno Stato palestinese. Perché mai non
dovrebbero volerlo? Per prestare ancora il fianco al
terrorismo internazionale? O per qualche altra ragione
economica? C’è forse petrolio o incredibili ricchezze
nei territori occupati da Israele? Ne trae forse
l’America qualche sostanzioso guadagno?
La potenza degli
Stati Uniti non è illimitata. Lo si è capito
dall’incapacità americana di vincere in Iraq. Ma la
potenza Usa è limitata anche dal sistema delle lobby a
Washington. Così gli Stati Uniti non possono operare
liberamente per la nascita di uno Staterello
palestinese, come hanno fatto a danno del loro alleato
indonesiano per la costituzione dello Stato di Timor
orientale. Negli Stati Uniti la forza della Lobby
ebraica nel Congresso e l’influenza che esercita in
entrambi i partiti Democratico e Repubblicano impedisce
a qualsiasi potere esecutivo di ottenere il ritiro
israeliano dai territori occupati. Dovrebbe essere
chiaro ormai dopo il grande dibattito sorto sulla Lobby
in seguito alle accuse circostanziate di voci autorevoli
quali quelle di Mersheimer e Walt, Jimmy Carter, George
Soros, James Petras, Norman Finkelstein, Scott Ritter,
il Financial Time, ecc.
Per Israele è
questione fondamentale inglobare quanto più territori
possibile e impossessarsi delle riserve idriche di tutta
la Palestina. Questo è essenziale per uno Stato che
punta sull’immigrazione ebraica e che necessita di
territori più estesi per difendersi dai paesi arabi
circostanti con cui non è riuscito o non ha voluto
realizzare la pace e la convivenza. Israele ha quindi
affidato alla sua lobby in America il compito
importantissimo di impedire la nascita di uno Stato
palestinese su tutti i territori occupati, con le sue
riserve d’acqua (maggiori di quelle di Israele) con un
esercito proprio e il controllo dei suoi confini. Se un
eventuale Stato palestinese dovesse controllare le
proprie riserve idriche, avere propri confini e un
esercito per difenderli, per Israele diventerebbe un
prolungamento degli altri paesi arabi e una minaccia
allo Stato ebraico. È quindi vitale per Israele, ma non
per gli Stati Uniti, che non nasca uno Stato palestinese
normale e che i palestinesi siano rinchiusi in prigioni
a cielo aperto circondate dal muro dell’apartheid e da
filo spinato. Come a Gaza, che pur essendo stata
sgomberata dipende in tutto e per tutto da Israele e non
ha il controllo della sua frontiera con l’Egitto né il
controllo della sua costa e fascia marittima
prospiciente.
La situazione
attuale a Gaza e in Cisgiordania
Gli obiettivi
israeliani e quelli americani, quindi, in parte
coincidono (su Hamas e il governo Palestinese), in parte
divergono (sulla costituzione di uno Stato palestinese,
piccolo, ma viabile). L’isolamento di Hamas e l’appoggio
a Fatah e Abu Mazen sono obiettivi comuni. Per Israele,
perché Hamas non accetterà mai i Bantustan; per gli
americani, perché la Palestina governata da Hamas può
essere, con Hezbollah e la Siria, un altro importante
alleato dell’Iran contro i moderati arabi e contro il
dominio USA sul Medio Oriente.
È comprensibile
quindi che i sionisti e gli americani, trascinandosi
dietro l’inetta, vile e insignificante Unione Europea,
abbiano iniziato a tramare per rovesciare il governo
legittimo di Hamas prima, e il governo di Unità
Nazionale (nato con l’accordo della Mecca) poi. Lo
apprendiamo dagli stessi giornali israeliani o dalle
grandi Agenzie di Stampa.
Il primo passo è
stato l’imposizione di sanzioni economiche, blocco dei
fondi palestinesi, blocco economico di Gaza e
Cisgiordania. Quindi si è iniziato a tramare per il
rovesciamento armato di Hamas. In questa sporca
operazione segreta, iniziata assai presto, l’uomo chiave
di Israele e di Bush è stato Mohammad Dahlan.
Questo
criminale, responsabile delle forze di sicurezza di
Fatah, ha accettato i piani israelo-americani, facendo
istruire con dollari Usa (60 milioni) e con istruttori
della Cia, diretti dal luogotenente-generale Keith
Dayton, giovani disoccupati, e uomini di Fatah.
Preparati in Egitto con la complicità dei governi
egiziano e giordano questi uomini venivano fatti
affluire nella Striscia di Gaza in vari gruppi, piccoli
ma ben equipaggiati, in modo da costituire quelle forze
che una volta diventate forti e numerose avrebbero
dovuto fare contro Hamas quello che invece
preventivamente ha fatto Hamas contro Fatah, sventando
il complotto ai suoi danni.
I combattimenti
striscianti tra Hamas e Fatah a Gaza, che duravano da
più di un mese, non erano il segno di una “guerra
civile” come ci volevano far credere. Erano le
avvisaglie della messa in opera del piano
americano-sionista. In questi scontri preparatori, gli
uomini di Dahlan hanno sempre avuto la peggio, perdendo
molto materiale, oggi in mano ad Hamas. Disperato,
Dahlan ha addirittura fatto richiesta a Israele di avere
armi più potenti, mortai, lanciagranate e autoblindo.
Israele ha rifiutato temendo (come prevedibile) che esse
finissero nelle mani degli islamici.
Chi ha
attentamente studiato le immagini degli scontri
definitivi a Gaza e Rafah, ha potuto notare grande
partecipazione di folle accanto ai combattenti di Hamas.
Ha potuto notare la partecipazione di molta gente alla
cattura dei capi traditori e al loro sbeffeggiamento
nelle strade cittadine. Nelle sue operazioni contro gli
uomini di Dahlan, Hamas ha riscosso l’appoggio di altre
organizzazioni politiche come i Comitati Popolari e
organizzazioni e clan familiari patriottici.
Il rapido
collasso di Fatah nella Striscia è la prova del totale
isolamento dei traditori di Dahlan.
In questa
vicenda, Abu Mazen si è dimostrato quello che è, un uomo
debole e compromesso. Per qualche tempo ha cercato di
difendere il governo di unità nazionale e le istituzioni
parlamentari, in cui Hamas e i suoi alleati hanno la
maggioranza, infine sotto la minaccia di essere dimesso
da Fatah, o peggio, ha ceduto.
Ha sciolto il governo legittimo e nominato un governo
“di transizione” con uomini di Dahlan, di Fatah e degli
americani, presieduto dall’economista Fayyad, altro uomo
di Bush. Tutto senza approvazione parlamentare.
È un colpo di
Stato. Favorisce il piano strategico israeliano:
dividere quel che resta della Palestina.
Prospettive
Ma quello che
ora aspetta i Palestinesi è ancora più drammatico.
Mentre Usa, Israele e UE (la cosiddetta Comunità
Internazionale) si sono affrettati di riconoscere il
governo non eletto di Fatah, togliendo le micidiali
sanzioni imposte contro un governo democraticamente
eletto, Israele si è subito mobilitato per chiudere Gaza
in un cerchio di ferro. Blocco delle frontiere e delle
esportazioni; niente più forniture di carburante, niente
denari delle tasse palestinesi ingiustamente trattenuti
e oggi dati ad Abbas. Sembra riuscito il piano di
mettere palestinesi contro palestinesi; di affamare e
massacrare chi si oppone a Israele con la complicità di
chi invece piega il capo.
Abbas non
otterrà nulla da Israele, mentre bisogna aspettarsi una
nuova vasta campagna militare a Gaza, per distruggere
Hamas.
Paradossalmente
questi avvenimenti accadono nel momento in cui Israele
si trova nella crisi più profonda della sua storia.
Basta leggere i commenti al 40° della guerra dei 6
giorni (giugno 1967) per vedere come tutti i
commentatori israeliani, identificano in quella “grande
vittoria” di Israele la fine delle speranze di pace in
Medio Oriente. Doveva mettere al sicuro lo Stato ebraico
e invece lo ha reso più odiato e più isolato nella
regione. Oggi è più debole di prima.
Tutti insistono
sul degrado morale a cui l’esercito e tutta la società
israeliana è andata incontro a causa della guerra
condotta contro popolazioni civili nei territori
occupati nel 1967 e in Libano. A causa dell’occupazione,
dicono i commentatori, Israele è diventato uno paese
paranoico e violento.
Questi mali, in
realtà, hanno le radici nell’ideologia sionista e
l’occupazione li ha solo messi a nudo.
Se n’è accorto
l’ex presidente della Knesset, Avrahm Burg, il quale,
dopo aver preso il passaporto francese ed essere
emigrato nel paese del buon vino e dei buoni formaggi,
ha dichiarato che “definire lo Stato di Israele come
Stato ebraico è la chiave per giungere alla sua fine.
Uno Stato ebraico è esplosivo. É dinamite”. Ha quindi
ribadito meglio il concetto aggiungendo che la
definizione di Israele come Stato “
‘ebraico-democratico’ è nitroglicerina”.
Avrahm Burg non
è Mister Nessuno. É un sionista della prima ora e adesso
ha capito che Israele non può essere ebraico e
democratico contemporaneamente. O l’uno o l’altro. Se è
ebraico, non può concedere uguali diritti ai
palestinesi, quindi è uno Stato razzista di apartheid.
Se è democratico deve offrire uguali diritti a ebrei e
palestinesi e quindi non è ebraico. Uno Stato
“ebraico-democratico” è nitroglicerina perché un tale
Stato di può realizzare solo con l’espulsione di tutti i
palestinesi. Una operazione nazista.
Burg ha capito
la contraddizione del sionismo, per questo ha lasciato
Israele. Meglio avrebbe fatto a restare nel suo paese e
battersi per un unico Stato democratico per ebrei e
palestinesi, uno Stato normale come il Sudafrica
post-apartheid, come l’Italia o la Francia, sua nuova
patria di elezione. Come lui si stanno comportando
decine di migliaia di giovani israeliani che chiedono il
passaporto dei paesi Europei o degli Stati Uniti e
vengono a vivere una vita normale in Occidente. È
l’inizio della fine dello Stato sionista.
Lo Stato
ebraico, comunque, non sta solo attraversando la sua
peggiore crisi morale. Essa porterà indubbiamente alla
fine dell’esperimento sionista. Ma le crisi morali
necessitano di tempo per giungere a maturazione e
portare i frutti definitivi. Israele in crisi potrebbe
durare ancora a lungo. Quello che preme sottolineare è
invece che, per la prima volta dalla sua fondazione, lo
Stato ebraico è entrato in una vera e propria agonia.
Finora gli
analisti israeliani hanno sempre messo in rilievo la
forza militare di Israele, le sue vittorie lampo, e, in
contrapposizione, le cocenti sconfitte degli Stati
arabi.
Nell’ultimo
anno, il corso degli avvenimenti sembra essersi
rovesciato. Nel 2006, il potente esercito israeliano ha
subito la prima vera sconfitta della sua storia. La
milizia islamica di Hamas ha umiliato Israele portando
la guerra sul territorio israeliano e mantenendovela per
tutto il corso delle operazioni militari. È un principio
militare israeliano quello di fare la guerra sul
territorio del nemico, devastandolo il più possibile.
L’anno scorso, benché l’esercito sionista avese
scatenato una guerra di sorpresa e invaso il Sud del
Libano, Hezbollah è riuscita ad inchiodarlo sul terreno
per un mese e contemporaneamente colpire profondamente
il territorio nemico. Città sono state evacuate,
strutture militari distrutte, navi colpite, in Israele.
Alla fine uno
dei più potenti eserciti del mondo ha dovuto ritirarsi e
chiedere ai paesi amici, Italia e Francia, di andare in
Libano per difendere le sue (di Israele) frontiere. Non
si era mai visto.
Recentemente una
secondo sconfitta, più piccola ma molto più
significativa è stata inflitta al mostro dai piedi di
argilla. Da Gaza sono partiti e possono riprendere a
partire in qualsiasi momento i razzi Kassam verso il
territorio israeliano. Israele ha cercato in tutti i
modi di fermarli ma non ci è riuscito. Ha invece dovuto
evacuare la città di Sderot.
Questa sconfitta
è ancora più cocente per la stella di Davide. I
palestinesi di Gaza infatti non hanno il retroterra di
Hezbollah e i Kassam sono razzi primitivi e artigianali.
Eppure hanno inflitto un danno militare e, ancor più,
psicologico, che lo Stato più potente del Medio Oriente
e lontano dal dimenticare.
Tutto questo
interviene mentre gli americani si trovano impantanati
in Iraq e mentre in America, per la prima volta si
alzano le voci contro la lobby ebraica. Il tempo sembra
giocare contro Israele e gli americani.
Siamo certi che
la piccola rivincita che Israele e gli americani hanno
ottenuto con l’operazione Abu Mazen-Dahlan, sarà di
corta durata. Il popolo palestinese saprà riconoscere i
suoi veri dirigenti.
I venti della
tempesta si calmeranno e allora il sereno non potrà
essere lontano. Le condizioni maturano per la
costituzione di un solo Stato democratico in Palestina.
Nostro compito è quello di isolare Israele e impedire un
colpo di testa nucleare sionista, il quale porterebbe
certo ad un terribile bagno di sangue ma anche ad una
ancora più rapida dissoluzione dello Stato sionista.