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Replica a Brunello Mantelli sulla libertà d'espressione

 

Il 24 maggio u.s., a pagina 6, il quotidiano “il Riformista” pubblicava un articolo intitolato “Ma la storia è una cosa seria”, a firma Brunello Mantelli. Seppur in ritardo, intendiamo rispondere a tale articolo, correggendo quelle che ci paiono alcune inesattezze e ribattendo a posizioni che riteniamo assai criticabili.

Cominciamo dal tema dell'articolo di Mantelli e dalle inesattezze in esso contenute. Il professore torinese prende le mosse dalla vicenda del Master “Enrico Mattei” in Medio Oriente, che si è tenuto negli ultimi due anni a Teramo portando numerosi studenti e prestigiosi docenti nella piccola università locale.[1] Tale Master s'è subito distinto nel quadro di sempre più grigio conformismo che, dopo il giornalismo, sta occupando anche l'ambito accademico: infatti, la scelta del suo curatore, il professor Claudio Moffa, è stata quella di garantire pieno pluralismo di voci ed opinioni. Così, ad esempio, ha invitato sia l'ambasciatore israeliano Gideon Meir sia quelli siriano e iraniano (rispettivamente, Samir al-Kassim e Abolfazl Zohrevand); sia il giornalista ebreo ma antisionista Israel Shamir, sia il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche in Italia (UCEI) Renzo Gattegna, il quale è invece un convinto sostenitore di Israele.[2] Allo stesso  modo, nel toccare un tema “scomodo” e spesso tabù in Italia – cioè il ruolo che la rimembranza della persecuzione degli Ebrei negli anni '30 e '40 del secolo scorso ha oggi nella politica vicino-orientale – ha invitato a parlare anche Valentina Pisanty, autrice del libro anti-revisionista L'irritante questione delle camere a gas.[3] Forse proprio questo approccio pluralista e scientifico, anziché ideologico, ha fatto sì che il Master “Enrico Mattei” entrasse nel mirino di quelle organizzazioni e di quegl'individui che cercano di creare un “discorso unico” totalitario in Europa. Il pretesto ch'essi hanno utilizzato per sferrare il proprio attacco al Master sono state le attenzioni rivolte a Robert Faurisson. Il professore francese, già docente presso l'Università di Lione II, è conosciuto come uno dei capofila della corrente storiografica revisionista sul cosiddetto “Olocausto”.[4] Durante il convegno “La storia imbavagliata”, organizzato nell'ambito del Master “Enrico Mattei”, è stata proiettata una video-intervista a Faurisson.[5] Dopo di ché, il professor Moffa ha deciso d'invitare Faurisson a tenere fisicamente una lezione presso l'Università di Teramo, dapprima nell'ambito del Master stesso e poi – viste le polemiche montanti – all'interno del suo corso di storia ed istituzioni dei paesi afro-asiatici. Tale lezione è stata impedita prima dalla serrata dell'Università, decisa dal Rettore (con decreto non motivato[6] che ha di fatto provocato l'interruzione di un pubblico servizio); quindi, dopo la sua trasformazione in convegno extra-accademico aperto al pubblico, dall'intervento d'una squadraccia di picchiatori ebrei proveniente da Roma.

È ora interessante leggere come Mantelli sintetizzi il pensiero della corrente storiografica del revisionismo olocaustico:

 

(...) nel materiale didattico compaiono vita ed opere dei sostenitori della cosiddetta “menzogna di Auschwitz”, i “negazionisti”, secondo loro lo sterminio degli ebrei d'Europa per mano nazista non sarebbe mai avvenuto, si sarebbe trattato di una gigantesca montatura costruita dai vincitori. Auschwitz viene perciò paragonata a una sorta di Disneyland.

 

Tale ricostruzione è inaccettabile non solo per la grammatica claudicante, o per gli strani nessi logici imposti dall'autore (“lo sterminio non sarebbe mai avvenuto, perciò Auschwitz viene paragonata a Disneyland”?), quanto per le palesi inesattezze e forzature che contiene. Ad esempio, il paragone tra Auschwitz e Disneyland, che Mantelli vorrebbe imputare a tutti i revisionisti, non trova riscontro alcuno. È difficile confutare tesi apodittiche che non poggiano su alcuna fonte, ma la seguente citazione tratta dalla viva penna di Faurisson stesso sembra poter smentire efficacemente l'indimostrata accusa di Mantelli:

 

Hitler ha fatto internare una parte degli ebrei europei, ma internare non significa sterminare.(...) Qualsiasi campo di concentramento è una cosa pietosa che suscita orrore, si tratti di un campo tedesco, russo, francese, americano, giapponese, cinese, vietnamita o cubano. Di questo fatto, pietoso od orribile che sia, vi sono diversi gradi, e certamente in tempo di guerra, di carestia, di epidemia, un campo di concentramento diventa ancora più orribile.

(...) Ad Auschwitz si trovavano sia internati sia lavoratori liberi, sia condannati a vita sia internati a termine. Nel campo di Auschwitz-II, o Birkenau, si aveva il pietoso spettacolo di numerose persone inabili al lavoro che marcivano sul posto. [7]

 

Nulla in questi brevi brani lascia trasparire l'idea che Auschwitz e gli altri campi di concentramento tedeschi potessero assomigliare a Disneyland. Evidentemente non si tratta di un'idea di Robert Faurisson. In realtà, l'unico storico revisionista che si potrebbe connettere alla frase di Mantelli è David Irving, il cui nome però non è in alcun modo legato a quello del Master “Enrico Mattei”. Inoltre va detto che Irving ha paragonato i resti del campo di Auschwitz a Disneyland per i suoi visitatori odierni: parallelo senza dubbio infelice, ma ben lontano dall'idea - che Mantelli sembrerebbe suggerire - che siano tutti i revisionisti a paragonare il campo di concentramento di Auschwitz ad una sorta di “parco dei divertimenti” per i suoi internati. La differenza non è da poco.

Un caso simile d'artifizio retorico, in cui un'informazione reale è presentata in modo ingannevole, tale da suscitare un'impressione errata nel lettore poco preparato, si ritrova poche righe più in là:

 

Un negazionista, il francese Serge Thion, è invitato a far lezione a Teramo, il 16 febbraio 2007. (...) Sempre più convinto delle tesi negazioniste (come scrive in un suo articolo), Moffa organizza alla metà di aprile scorso un convegno: “Il Medio Oriente e l'olocausto. La storia imbavagliata”, a cui partecipano anche studiosi seri (...).

 

Come si può notare, Mantelli sta ripercorrendo le vicissitudini del Master. Gli eventi sono ricordati in ordine cronologico: si parte dall'autunno 2005, data d'inaugurazione della prima edizione,[8] e s'arriva ad oggi passando per la lezione di Thion (16 febbraio 2007), il convegno “La storia imbavagliata” (17-19 aprile 2007), le polemiche seguenti ed infine la mancata conferenza di Faurisson (18 maggio 2007). Solo un evento è citato al di fuori di tale ordine temporale e, guarda caso, Mantelli non ne menziona la data: si tratta dell'articolo in cui Moffa si dichiara «sempre più convinto delle tesi negazioniste». Dal passo sopra citato e dall'organizzazione complessiva dell'articolo, sembrerebbe di dedurre che il professor Moffa abbia organizzato il convegno “La storia imbavagliata” proprio perché «sempre più convinto delle tesi negazioniste». Ciò non corrisponde a realtà. Il convegno in questione si tiene a Teramo tra il 17 ed il 19 aprile, e si può presumere sia stato organizzato con un certo anticipo. Non si vede pertanto come ci possa essere una consequenzialità coll'articolo di Moffa “Perché Faurisson e i 'negazionisti' mi convincono sempre più”, ch'è datato invece 8 maggio.[9] Ancora una volta il distinguo non è affatto capzioso, se si considera che Moffa attribuisce tale suo “progressivo convincimento” proprio alla violenta chiusura con cui il tema del revisionismo è stato accolto. Il nesso di causa-effetto tra l'articolo ed il convegno, nell'articolo di Mantelli, sembra rovesciato rispetto alla realtà.

Il terzo passaggio “problematico” del resoconto di Mantelli è caratterizzato da un'omissione non di poco conto. Scrive il docente torinese:

 

Dopo aver tentato di far presente ai vertici della facoltà la gravità della cosa [l'invito a Faurisson, NdR] ma senza risultati tangibili, un piccolo gruppo di storici che da anni conducono ricerche sulla deportazione e sulla Shoah decide di diffondere un appello alle autorità accademiche, al ministro Mussi e all'opinione pubblica. In poco più di una settimana lo firmano in ottocento, tra cui trecento studiosi.

 

A questo punto, sarebbe potuto essere interessante per il lettore sapere che, oltre all'appello promosso dal medesimo Mantelli contro la libertà d'espressione, esiste anche un'altra petizione, di poco successiva e di segno opposto. Trattasi dell'appello La parola negata, promosso dal neocostituito “Comitato contro la Repressione della Libertà di Parola e di Pensiero”, che in poco tempo raccoglie le firme di 736 cittadini, tra accademici, studenti, giuristi, giornalisti e persone comuni, tutti uniti per protestare contro la violazione degli articoli 21 e 33 della Costituzione italiana.[10]

Fortemente edulcorato è poi il resoconto che Mantelli dà degli eventi che hanno impedito la conferenza di Robert Faurisson:

 

Faurisson, giunto a Teramo, deve fare i conti con il dolore e la passione di coloro che la Shoah l'han vissuta sulla propria pelle in quanto figli di deportati e caduti ad Auschwitz; costretto ad andarsene da una provvida decisione del questore (...)

 

In realtà, Faurisson, Moffa e gli aspiranti uditori della conferenza del 18 maggio «i conti» li hanno fatti non «con il dolore e la passione di coloro che la Shoah l'han vissuta sulla propria pelle» (e non si capisce perché il figlio d'un deportato dovrebbe rientrare tra costoro), bensì con la violenza squadristica d'estremisti ebrei che, oltre ad impedire con la forza il convegno, hanno aggredito in branco il capo della Squadra Mobile della Polizia Gennaro Capasso, provocandogli una frattura composta alla spalla e diverse contusioni.[11]

Ma ora, dalla sua ricostruzione dei fatti (assai parziale ed a tratti approssimativa), veniamo alla tesi di fondo dell'articolo di Mantelli.

 

***

 

Citiamo direttamente dall'articolo del professore torinese:

 

È incomprensibile come tesi prive di fondamento possano essere divulgate in un'aula universitaria,e pretestuoso appare il richiamo di Moffa alla “libertà di parola”. All'università non si può insegnare che la terra è piatta!

(...) Resta una questione cruciale, che concerne sia l'università come istituzione, sia la storiografia come disciplina; per quanto riguarda la prima non ha senso invocarvi la “libertà d'opinione”; essa è e deve rimanere il luogo privilegiato della “libertà di ricerca”, ma non è un Bar Sport, in cui ciascuno può dire quel che gli passa per la mente. Analogamente, la storiografia è una disciplina che si avvale di metodologie consolidate: non è possibile definirsi medico o ingegnere senza aver conseguito una preparazione specifica, e allo stesso modo non è lecito proclamarsi storici se si ignorano i fondamenti del far ricerca. Tempo fa destò un certo scalpore e suscitò una forte reazione la proposta del ministro Mastella di introdurre, come in numerosi Stati europei, il reato di negazionismo: visto ciò che è accaduto a Teramo e la pervicace volontà di Moffa e dei suoi seguaci di continuare a travestire da “libertà di parola” la “menzogna di Auschwitz” forse, con tutte le cautele possibili, sarebbe opportuno ripensare all'idea del Guardasigilli.

 

A Mantelli va riconosciuto il coraggio di non nascondersi dietro un dito. Le sue tesi aberranti sono esposte fino in fondo e, senza tema di cadere nel ridicolo, in chiusa dell'articolo arriva persino ad invocare il carcere per i «pervicaci»[12] che s'ostinano a non pensarla come lui. Analizziamo nei particolari la sua tesi, così come appare nell'articolo in questione.

Innanzi tutto, Mantelli disgiunge il piano universitario da quello extra-accademico: nel primo non è lecito appellarsi alla “libertà d'opinione” come nel secondo, ma solo alla “libertà di ricerca”. Ciò è in qualche modo accettabile.[13] A questo punto, però, va notato che il professor Claudio Moffa s'è appellato alla libertà d'opinione in merito alla conferenza extra-accademica di Faurisson, impedita con la forza bruta da un manipolo di delinquenti, e dunque l'accusa di «pretestuosità» lanciata da Mantelli appare... pretestuosa. Il docente torinese potrebbe dimostrare la sua buona fede, messa in dubbio da sì tante manipolazioni contenute nel suo articolo, esprimendo la propria solidarietà a Moffa e Faurisson per la violenza squadristica di cui sono stati fatti oggetto in sede extra-accademica, dove anche Mantelli riconosce sia lecito appellarsi alla libertà d'opinione (ed espressione). Invece, come abbiamo visto qualche riga sopra, egli preferisce dare una versione decisamente apologetica della violenza, mostrando una eccessiva empatia con gli squadristi.

Veniamo dunque all'esercizio della libertà di ricerca in ambito accademico, che di quella «è e deve rimanere il luogo privilegiato». Parrebbe ovvio che anche la corrente revisionista sull'Olocausto abbia diritto a tale libertà di ricerca; ma così non è secondo Mantelli perché essa non supererebbe un discrimine ch'egli stesso fissa. Tale discrimine è la «metodologia consolidata» che – pare di capire seppure non sia affermato esplicitamente – derivi dagli studi storici in sede universitaria, certificati dal titolo equivalente.[14] Questa logica di casta, per cui chiunque non possieda “il titolo” non ha diritto di parola, è pericolosa e, se applicata al passato, darebbe risultati paradossali. Prendiamo ad esempio un fatto ben noto. Fino al 1871 era opinione comune tra gli storici di professione che la città di Troia non fosse mai esistita: si sarebbe trattata d'una semplice invenzione letteraria di Omero. Fu Heinrich Schliemann, un uomo d'affari russo-tedesco che a 14 anni aveva abbandonato la scuola per fare il garzone di bottega, che si mise a scavare presso Hissarlyk, tra lo scetticismo generale, e là vi trovò i resti di Troia. Possibile che ad oltre un secolo di distanza questa vicenda non abbia insegnato proprio nulla, e certi ambienti continuino a mostrarsi spocchiosamente tronfi dei propri titoli stampati su pezzi di carta? Se qualcuno, leggendo le ultime righe dell'articolo di Mantelli (quelle in cui caldeggia la legge proposta da Mastella), gli rimproverasse d'aver invaso il campo altrui, esprimendo opinioni sul diritto pur senza avere alcuna competenza giuridica, ne sarebbe felice lo storico torinese? E se, mentre passeggia per strada nella sua Torino, dovesse «fare i conti con il dolore e la passione» di chi le leggi liberticide le ha vissute o rischia di viverle sulla propria pelle, Mantelli mostrerebbe la medesima comprensione per le ragioni degli squadristi? La risposta sarebbe quasi certamente “no”; eppure non s'è fatto altro che adoperare la teoria mantelliana applicandola a due casi ipotetici ma ben esemplificativi.

Non v'è dubbio che gli studi accademici in una determinata materia aiutino enormemente a sviluppare le giuste conoscenze e metodologie, ma non si può interpretare questo fatto in modo tanto restrittivo da precludere a chiunque altro il diritto di parola in seno alla comunità scientifica. Il valore d'una ricerca andrebbe valutata in base ai contenuti, non ai titoli di chi l'ha compiuta. E tale valutazione deve assumere i contorni d'una discussione e d'un confronto continuo, non certo di un “processo giudiziario” compiuto dalla “maggioranza” sulla “minoranza”, con conseguente bando di quest'ultima. Solo persone profondamente ideologizzate possono interpretare le cose “in bianco e nero”, come se da una parte vi fossero teorie perfettamente giuste e dall'altra teorie perfettamente sbagliate. Anche una teoria sbagliata nel suo complesso può racchiudere una briciola di verità che, se assorbita, risulterebbe utile alla teoria più esatta per migliorarsi ulteriormente. Invece, si preferisce bandire l'avversario, scongiurare qualsiasi “contaminazione” e preservare la “purezza razziale” della corrente dominante: come dei veri e propri “nazisti della storiografia”. È troppo comodo affermare: “Ma se una teoria è del tutto sbagliata, perché non bandirla?”. Chi infatti dovrebbe esercitare questa “autorità” di mettere al bando? Forse un oscuro e semi-sconosciuto docente che, dall'alto della sua cattedra e di tre (tre!) libri pubblicati sul tema specifico dei campi di concentramento tedeschi, sancisce che le posizioni di Serge Thion sono «scientificamente del tutto errate» e le tesi di Faurisson «prive di fondamento»?[15]

Sarebbe un errore madornale paragonare le scienze storiche a quelle naturali e, quindi, paragonare le tesi revisioniste all'affermazione «che la terra è piatta». Le scienze naturali si basano su dati di fatto legati alla percezione sensibile d'una realtà concreta e presente[16]: così, ad esempio, le fotografie satellitari ci mostrano incontrovertibilmente che la Terra è tonda. La storiografia, invece, studia fenomeni astratti e passati[17], realtà intangibili per il ricercatore. Nessun senso umano e nessuna tecnologia potrà fornire allo studioso la prova definitiva[18] d'una ricostruzione storica. Si possono raggiungere “quasi certezze” (quando cioè i critici d'una teoria sono assenti: nessuno oggi nega che poco più di duemila anni fa sia vissuto un personaggio chiamato Giulio Cesare), ma non “certezze assolute”. Ecco perché non solo le libertà civili dell'Italia, ma il bene stesso delle scienze storiche, richiedono che nessuno s'arroghi il diritto di bandire di forza o d'autorità chi non la pensa come lui: sarà la libera discussione e l'aperto scambio d'argomentazioni a sancire chi è attendibile e chi no, in un processo di valutazione individuale e non imposto a tutti dall'alto.

 

Il Comitato contro la Repressione della Libertà di Parola e di Pensiero


 

[1]    Il sito del master universitario è: http://www.mastermatteimedioriente.it/. L'edizione “incriminata” è quella del 2007 (http://www.mastermatteimedioriente.it/archivio2007.html); tra i suoi docenti, citiamo: Franco Cardini, Dan Vittorio Segre, Israel Shamir, Domenico Losurdo, Samir al-Qaryouti, Augusto Sinagra, Matteo Carbonelli, Mauro Manno, Paolo Matthiae, Vincenzo Strika e molti altri, tra professori, giornalisti e magistrati. Nel 2006 ad inaugurarlo era stato il senatore Giulio Andreotti, ex Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana.

[2]    Egli ha dichiarato: «Tutti noi (...) abbiamo vissuto e stiamo vivendo in prima persona questa straordinaria esperienza [la nascita dello Stato di Israele, NdR] e siamo in grado di coglierne il significato, non solo politico [...]. L'Unione [delle Comunità Ebraiche in Italia] è la rappresentanza unitaria ed istituzionale di tutti gli ebrei italiani e lo Stato d'Israele è la realizzazione concreta di una millenaria aspirazione di tutto il popolo ebraico»; in: Annie Sacerdoti, “Il futuro dell'UCEI nelle parole del presidente Gattegna”, “Mosaico”, 11 settembre 2006 (http://www.mosaico-cem.it/article.php?section=intervista&id=16).

[3]    Valentina Pisanty, L'irritante questione delle camere a gas, Bompiani, 1998.

[4]    L'espressione “cosiddetto Olocausto” non vuol essere un giudizio di valore, ossia una negazione della storicità di quel fenomeno oggi noto come “Shoah o, per l'appunto, come “Olocausto. Essa è una forma dovuta, nel momento stesso in cui si prende nota dell'esistenza di più d'una definizione per lo stesso fenomeno; del resto, il termine “Olocausto” è contestato anche dalle maggiori organizzazioni ebraiche. L'espressione “cosiddetto Olocausto” è stata fatta propria anche da uno storico ebreo e non certo sospettabile di revisionismo, come Sion Segre Amar. Cfr. Sion Segre Amar, “Ma non chiamatelo Olocausto”, “La Stampa”, 3 maggio 1994, p. 18.

[5]    Vedi: http://www.mastermatteimedioriente.it/faurisson.wmv. Per un'antologia di scritti di Faurisson in lingua italiana: http://www.vho.org/aaargh/ital/archifauri/index.html.

[6]    Se poi – come sembra abbia successivamente confermato a voce il Rettore (http://www.primadanoi.it/modules/bdnews/article.php?storyid=9991) – il motivo dell'ingiustificata chiusura dell'Università era da ravvisarsi nella preoccupazione per l'ordine pubblico messo in pericolo dalle annunciate contestazioni di chi desiderava “chiudere la bocca” al professor Faurisson (violenze poi purtroppo concretizzatesi), c'è da chiedersi se sia normale e, soprattutto, accettabile che un rettore sospenda l'attività didattica dell'intera università per soddisfare le assurde pretese d'un gruppetto d'esagitati!

[7]    Antonio Pitamitz, Intervista con lo storico Faurisson, “Storia illustrata”, agosto 1979, pp. 17-35 (riprodotta in: http://www.vho.org/aaargh/ital/archifauri/RF7908xxi.html)

[8]    «I fatti: dall'autunno 2005 è attivo presso l'Università di Teramo un master sul Medio Oriente, intitolato a Enrico Mattei (...)»: è questo l'incipit dell'articolo di Mantelli.

[10]  L'articolo 21 recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». L'articolo 33: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne é l'insegnamento».

[12] La terminologia di Mantelli ricorda da vicino quella d'un procedimento inquisitorio: ad essere giudicata meritoria di punizione è non tanto l'eresia in sé, quanto la “pervicacia” nel sostenerla.

[13]  Qualche riserva potrebbe destarla la seguente considerazione: pressoché tutte le ricerche, anche se si tende a negarlo pervicacemente, partono da un'opinione personale di chi le esegue; nessuno poi oserebbe negare che le conclusioni d'una ricerca siano delle opinioni (ancorché argomentate e dimostrate per quanto possibile). Disgiungere libertà di ricerca e libertà d'opinione risulta perciò problematico e pericoloso: se nelle università si selezionassero gli studiosi in base alle loro opinioni, e si consentisse quale risultato delle loro ricerche una sola opinione (o un lotto ristretto d'opinioni), è chiaro che la “libertà di ricerca”, formalmente garantita, verrebbe meno de facto.

[14]  Non bisogna tuttavia dimenticare che due tra gli autori revisionisti più conosciuti – Arthur Butz e lo stesso Robert Faurisson – sono pur sempre professori universitari. In particolare Faurisson, prima di essere privato dell'insegnamento nel 1990 (con decisione ministeriale non motivata) a causa delle proprie opinioni professionali, aveva una cattedra all'Università di Lione-II, dove ha insegnato, tra le altre cose, “Critica del testo e del documento (letteratura, storia, mezzi di comunicazione)”. È quindi nell'ambito delle sue competenze di professore universitario che Faurisson ha cominciato ad interessarsi alle testimonianze riguardanti i campi di concentramento nazisti, testimonianze delle quali ha fornito una valutazione che, seppur sgradita ai sostenitori della storiografia “ufficiale”, è sicuramente professionale (non dimentichiamo che Faurisson, a differenza di molti professori di storia contemponea, conosce egregiamente il tedesco).

[15]  Infatti, non si trova nessuna informazione a supporto di questi categorici giudizi di Mantelli. Al lettore sono presentate come verità apodittiche, cui si deve credere in base alla “autorità” di Brunello Mantelli.

[16]  È solo quando tali realtà concrete vengono inquadrate nel loro divenire (e dunque non sono più presenti) che sorgono teorie contrastanti.

[17]  Ovviamente la storiografia studia diversi oggetti o persone concrete, ma inquadrandoli in fenomeni più complessi che sono astratti. Ad esempio, i resti del campo di Auschwitz sono qualcosa di concreto e tangibile, mentre gli Ebrei in esso deportati oggi non esistono più; dal loro insieme deriva un fenomeno intangibile, non misurabile con la percezione sensibile umana: cioè l'Olocausto o Shoah.

[18]  A meno che non si consideri tale la parola di Brunello Mantelli.

 

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