Replica a Brunello
Mantelli sulla libertà d'espressione
Il 24 maggio u.s., a pagina 6, il
quotidiano “il Riformista” pubblicava un articolo
intitolato “Ma la storia è una cosa seria”, a
firma Brunello Mantelli. Seppur in ritardo, intendiamo
rispondere a tale articolo, correggendo quelle che ci
paiono alcune inesattezze e ribattendo a posizioni che
riteniamo assai criticabili.
Cominciamo dal tema dell'articolo di
Mantelli e dalle inesattezze in esso contenute. Il
professore torinese prende le mosse dalla vicenda del
Master “Enrico Mattei” in Medio Oriente, che si è tenuto
negli ultimi due anni a Teramo portando numerosi
studenti e prestigiosi docenti nella piccola università
locale.
Tale Master s'è subito distinto nel quadro di sempre più
grigio conformismo che, dopo il giornalismo, sta
occupando anche l'ambito accademico: infatti, la scelta
del suo curatore, il professor Claudio Moffa, è stata
quella di garantire pieno pluralismo di voci ed
opinioni. Così, ad esempio, ha invitato sia
l'ambasciatore israeliano Gideon Meir sia quelli siriano
e iraniano (rispettivamente, Samir al-Kassim e Abolfazl
Zohrevand); sia il giornalista ebreo ma antisionista
Israel Shamir, sia il presidente dell'Unione delle
Comunità Ebraiche in Italia (UCEI) Renzo Gattegna, il
quale è invece un convinto sostenitore di Israele.
Allo stesso modo, nel toccare un tema “scomodo” e
spesso tabù in Italia – cioè il ruolo che la rimembranza
della persecuzione degli Ebrei negli anni '30 e '40 del
secolo scorso ha oggi nella politica vicino-orientale –
ha invitato a parlare anche Valentina Pisanty, autrice
del libro anti-revisionista L'irritante questione
delle camere a gas.
Forse proprio questo approccio pluralista e scientifico,
anziché ideologico, ha fatto sì che il Master “Enrico
Mattei” entrasse nel mirino di quelle organizzazioni e
di quegl'individui che cercano di creare un “discorso
unico” totalitario in Europa. Il pretesto ch'essi hanno
utilizzato per sferrare il proprio attacco al Master
sono state le attenzioni rivolte a Robert Faurisson. Il
professore francese, già docente presso l'Università di
Lione II, è conosciuto come uno dei capofila della
corrente storiografica revisionista sul cosiddetto
“Olocausto”.
Durante il convegno “La storia imbavagliata”,
organizzato nell'ambito del Master “Enrico Mattei”, è
stata proiettata una video-intervista a Faurisson.
Dopo di ché, il professor Moffa ha deciso d'invitare
Faurisson a tenere fisicamente una lezione presso
l'Università di Teramo, dapprima nell'ambito del Master
stesso e poi – viste le polemiche montanti – all'interno
del suo corso di storia ed istituzioni dei paesi
afro-asiatici. Tale lezione è stata impedita prima dalla
serrata dell'Università, decisa dal Rettore (con decreto
non motivato
che ha di fatto provocato l'interruzione di un pubblico
servizio); quindi, dopo la sua trasformazione in
convegno extra-accademico aperto al pubblico,
dall'intervento d'una squadraccia di picchiatori ebrei
proveniente da Roma.
È ora interessante leggere come Mantelli
sintetizzi il pensiero della corrente storiografica del
revisionismo olocaustico:
(...) nel materiale didattico compaiono vita ed opere
dei sostenitori della cosiddetta “menzogna di
Auschwitz”, i “negazionisti”, secondo loro lo sterminio
degli ebrei d'Europa per mano nazista non sarebbe mai
avvenuto, si sarebbe trattato di una gigantesca
montatura costruita dai vincitori. Auschwitz viene
perciò paragonata a una sorta di Disneyland.
Tale ricostruzione è inaccettabile non
solo per la grammatica claudicante, o per gli strani
nessi logici imposti dall'autore (“lo sterminio non
sarebbe mai avvenuto, perciò Auschwitz viene
paragonata a Disneyland”?), quanto per le palesi
inesattezze e forzature che contiene. Ad esempio, il
paragone tra Auschwitz e Disneyland, che Mantelli
vorrebbe imputare a tutti i revisionisti, non trova
riscontro alcuno. È difficile confutare tesi apodittiche
che non poggiano su alcuna fonte, ma la seguente
citazione tratta dalla viva penna di Faurisson stesso
sembra poter smentire efficacemente l'indimostrata
accusa di Mantelli:
Hitler ha fatto internare una parte degli ebrei
europei, ma internare non significa sterminare.(...)
Qualsiasi campo di concentramento è una cosa pietosa che
suscita orrore, si tratti di un campo tedesco, russo,
francese, americano, giapponese, cinese, vietnamita o
cubano. Di questo fatto, pietoso od orribile che sia, vi
sono diversi gradi, e certamente in tempo di guerra, di
carestia, di epidemia, un campo di concentramento
diventa ancora più orribile.
(...) Ad Auschwitz si trovavano sia internati sia
lavoratori liberi, sia condannati a vita sia internati a
termine. Nel campo di Auschwitz-II, o Birkenau, si aveva
il pietoso spettacolo di numerose persone inabili al
lavoro che marcivano sul posto.
Nulla in questi brevi brani lascia
trasparire l'idea che Auschwitz e gli altri campi di
concentramento tedeschi potessero assomigliare a
Disneyland. Evidentemente non si tratta di un'idea
di Robert Faurisson. In realtà, l'unico storico
revisionista che si potrebbe connettere alla frase di
Mantelli è David Irving, il cui nome però non è in alcun
modo legato a quello del Master “Enrico Mattei”. Inoltre
va detto che Irving ha paragonato i resti del
campo di Auschwitz a Disneyland per i suoi
visitatori odierni: parallelo senza dubbio
infelice, ma ben lontano dall'idea - che Mantelli
sembrerebbe suggerire - che siano tutti i
revisionisti a paragonare il campo di concentramento di
Auschwitz ad una sorta di “parco dei divertimenti” per i
suoi internati. La differenza non è da poco.
Un caso simile d'artifizio retorico, in
cui un'informazione reale è presentata in modo
ingannevole, tale da suscitare un'impressione errata nel
lettore poco preparato, si ritrova poche righe più in
là:
Un negazionista, il francese Serge Thion, è invitato
a far lezione a Teramo, il 16 febbraio 2007. (...)
Sempre più convinto delle tesi negazioniste (come scrive
in un suo articolo), Moffa organizza alla metà di aprile
scorso un convegno: “Il Medio Oriente e l'olocausto. La
storia imbavagliata”, a cui partecipano anche studiosi
seri (...).
Come si può notare, Mantelli sta
ripercorrendo le vicissitudini del Master. Gli eventi
sono ricordati in ordine cronologico: si parte
dall'autunno 2005, data d'inaugurazione della prima
edizione,
e s'arriva ad oggi passando per la lezione di Thion (16
febbraio 2007), il convegno “La storia imbavagliata”
(17-19 aprile 2007), le polemiche seguenti ed infine la
mancata conferenza di Faurisson (18 maggio 2007). Solo
un evento è citato al di fuori di tale ordine temporale
e, guarda caso, Mantelli non ne menziona la data: si
tratta dell'articolo in cui Moffa si dichiara «sempre
più convinto delle tesi negazioniste». Dal passo
sopra citato e dall'organizzazione complessiva
dell'articolo, sembrerebbe di dedurre che il professor
Moffa abbia organizzato il convegno “La storia
imbavagliata” proprio perché «sempre più convinto
delle tesi negazioniste». Ciò non corrisponde a
realtà. Il convegno in questione si tiene a Teramo tra
il 17 ed il 19 aprile, e si può presumere sia stato
organizzato con un certo anticipo. Non si vede pertanto
come ci possa essere una consequenzialità coll'articolo
di Moffa “Perché Faurisson e i 'negazionisti' mi
convincono sempre più”, ch'è datato invece 8 maggio.
Ancora una volta il distinguo non è affatto capzioso, se
si considera che Moffa attribuisce tale suo “progressivo
convincimento” proprio alla violenta chiusura con cui il
tema del revisionismo è stato accolto. Il nesso di
causa-effetto tra l'articolo ed il convegno,
nell'articolo di Mantelli, sembra rovesciato rispetto
alla realtà.
Il terzo passaggio “problematico” del
resoconto di Mantelli è caratterizzato da un'omissione
non di poco conto. Scrive il docente torinese:
Dopo aver tentato di far presente ai vertici della
facoltà la gravità della cosa [l'invito a Faurisson,
NdR] ma senza risultati tangibili, un piccolo gruppo di
storici che da anni conducono ricerche sulla
deportazione e sulla Shoah decide di diffondere un
appello alle autorità accademiche, al ministro Mussi e
all'opinione pubblica. In poco più di una settimana lo
firmano in ottocento, tra cui trecento studiosi.
A questo punto, sarebbe potuto essere
interessante per il lettore sapere che, oltre
all'appello promosso dal medesimo Mantelli contro la
libertà d'espressione, esiste anche un'altra petizione,
di poco successiva e di segno opposto. Trattasi
dell'appello La parola negata, promosso dal
neocostituito “Comitato contro la Repressione della
Libertà di Parola e di Pensiero”, che in poco tempo
raccoglie le firme di 736 cittadini, tra accademici,
studenti, giuristi, giornalisti e persone comuni, tutti
uniti per protestare contro la violazione degli articoli
21 e 33 della Costituzione italiana.
Fortemente edulcorato è poi il resoconto
che Mantelli dà degli eventi che hanno impedito la
conferenza di Robert Faurisson:
Faurisson, giunto a Teramo, deve fare i conti con il
dolore e la passione di coloro che la Shoah l'han
vissuta sulla propria pelle in quanto figli di deportati
e caduti ad Auschwitz; costretto ad andarsene da una
provvida decisione del questore (...)
In realtà, Faurisson, Moffa e gli
aspiranti uditori della conferenza del 18 maggio «i
conti» li hanno fatti non «con il dolore e la passione
di coloro che la Shoah l'han vissuta sulla propria
pelle» (e non si capisce perché il figlio d'un deportato
dovrebbe rientrare tra costoro), bensì con la violenza
squadristica d'estremisti ebrei che, oltre ad impedire
con la forza il convegno, hanno aggredito in branco il
capo della Squadra Mobile della Polizia Gennaro Capasso,
provocandogli una frattura composta alla spalla e
diverse contusioni.
Ma ora, dalla sua ricostruzione dei
fatti (assai parziale ed a tratti approssimativa),
veniamo alla tesi di fondo dell'articolo di Mantelli.
***
Citiamo direttamente dall'articolo del
professore torinese:
È incomprensibile come tesi prive di fondamento
possano essere divulgate in un'aula universitaria,e
pretestuoso appare il richiamo di Moffa alla “libertà di
parola”. All'università non si può insegnare che la
terra è piatta!
(...) Resta una questione cruciale, che concerne sia
l'università come istituzione, sia la storiografia come
disciplina; per quanto riguarda la prima non ha senso
invocarvi la “libertà d'opinione”; essa è e deve
rimanere il luogo privilegiato della “libertà di
ricerca”, ma non è un Bar Sport, in cui ciascuno può
dire quel che gli passa per la mente. Analogamente, la
storiografia è una disciplina che si avvale di
metodologie consolidate: non è possibile definirsi
medico o ingegnere senza aver conseguito una
preparazione specifica, e allo stesso modo non è lecito
proclamarsi storici se si ignorano i fondamenti del far
ricerca. Tempo fa destò un certo scalpore e suscitò una
forte reazione la proposta del ministro Mastella di
introdurre, come in numerosi Stati europei, il reato di
negazionismo: visto ciò che è accaduto a Teramo e la
pervicace volontà di Moffa e dei suoi seguaci di
continuare a travestire da “libertà di parola” la
“menzogna di Auschwitz” forse, con tutte le cautele
possibili, sarebbe opportuno ripensare all'idea del
Guardasigilli.
A Mantelli va riconosciuto il coraggio
di non nascondersi dietro un dito. Le sue tesi aberranti
sono esposte fino in fondo e, senza tema di cadere nel
ridicolo, in chiusa dell'articolo arriva persino ad
invocare il carcere per i «pervicaci»
che s'ostinano a non pensarla come lui. Analizziamo nei
particolari la sua tesi, così come appare nell'articolo
in questione.
Innanzi tutto, Mantelli disgiunge il
piano universitario da quello extra-accademico: nel
primo non è lecito appellarsi alla “libertà d'opinione”
come nel secondo, ma solo alla “libertà di ricerca”. Ciò
è in qualche modo accettabile.
A questo punto, però, va notato che il professor Claudio
Moffa s'è appellato alla libertà d'opinione in merito
alla conferenza extra-accademica di Faurisson,
impedita con la forza bruta da un manipolo di
delinquenti, e dunque l'accusa di «pretestuosità»
lanciata da Mantelli appare... pretestuosa. Il docente
torinese potrebbe dimostrare la sua buona fede, messa in
dubbio da sì tante manipolazioni contenute nel suo
articolo, esprimendo la propria solidarietà a Moffa e
Faurisson per la violenza squadristica di cui sono stati
fatti oggetto in sede extra-accademica, dove
anche Mantelli riconosce sia lecito appellarsi alla
libertà d'opinione (ed espressione). Invece, come
abbiamo visto qualche riga sopra, egli preferisce dare
una versione decisamente apologetica della violenza,
mostrando una eccessiva empatia con gli squadristi.
Veniamo dunque all'esercizio della
libertà di ricerca in ambito accademico, che di quella «è
e deve rimanere il luogo privilegiato». Parrebbe
ovvio che anche la corrente revisionista sull'Olocausto
abbia diritto a tale libertà di ricerca; ma così non è
secondo Mantelli perché essa non supererebbe un
discrimine ch'egli stesso fissa. Tale discrimine è la «metodologia
consolidata» che – pare di capire seppure non sia
affermato esplicitamente – derivi dagli studi storici in
sede universitaria, certificati dal titolo equivalente.
Questa logica di casta, per cui chiunque non possieda
“il titolo” non ha diritto di parola, è pericolosa e, se
applicata al passato, darebbe risultati paradossali.
Prendiamo ad esempio un fatto ben noto. Fino al 1871 era
opinione comune tra gli storici di professione che la
città di Troia non fosse mai esistita: si sarebbe
trattata d'una semplice invenzione letteraria di Omero.
Fu Heinrich Schliemann, un uomo d'affari russo-tedesco
che a 14 anni aveva abbandonato la scuola per fare il
garzone di bottega, che si mise a scavare presso
Hissarlyk, tra lo scetticismo generale, e là vi trovò i
resti di Troia. Possibile che ad oltre un secolo di
distanza questa vicenda non abbia insegnato proprio
nulla, e certi ambienti continuino a mostrarsi
spocchiosamente tronfi dei propri titoli stampati su
pezzi di carta? Se qualcuno, leggendo le ultime righe
dell'articolo di Mantelli (quelle in cui caldeggia la
legge proposta da Mastella), gli rimproverasse d'aver
invaso il campo altrui, esprimendo opinioni sul diritto
pur senza avere alcuna competenza giuridica, ne sarebbe
felice lo storico torinese? E se, mentre passeggia per
strada nella sua Torino, dovesse «fare i conti con il
dolore e la passione» di chi le leggi liberticide le
ha vissute o rischia di viverle sulla propria pelle,
Mantelli mostrerebbe la medesima comprensione per le
ragioni degli squadristi? La risposta sarebbe quasi
certamente “no”; eppure non s'è fatto altro che
adoperare la teoria mantelliana applicandola a due casi
ipotetici ma ben esemplificativi.
Non v'è dubbio che gli studi accademici
in una determinata materia aiutino enormemente a
sviluppare le giuste conoscenze e metodologie, ma non si
può interpretare questo fatto in modo tanto restrittivo
da precludere a chiunque altro il diritto di parola in
seno alla comunità scientifica. Il valore d'una ricerca
andrebbe valutata in base ai contenuti, non ai titoli di
chi l'ha compiuta. E tale valutazione deve assumere i
contorni d'una discussione e d'un confronto continuo,
non certo di un “processo giudiziario” compiuto dalla
“maggioranza” sulla “minoranza”, con conseguente bando
di quest'ultima. Solo persone profondamente
ideologizzate possono interpretare le cose “in bianco e
nero”, come se da una parte vi fossero teorie
perfettamente giuste e dall'altra teorie perfettamente
sbagliate. Anche una teoria sbagliata nel suo complesso
può racchiudere una briciola di verità che, se
assorbita, risulterebbe utile alla teoria più esatta per
migliorarsi ulteriormente. Invece, si preferisce bandire
l'avversario, scongiurare qualsiasi “contaminazione” e
preservare la “purezza razziale” della corrente
dominante: come dei veri e propri “nazisti della
storiografia”. È troppo comodo affermare: “Ma se una
teoria è del tutto sbagliata, perché non bandirla?”. Chi
infatti dovrebbe esercitare questa “autorità” di mettere
al bando? Forse un oscuro e semi-sconosciuto docente
che, dall'alto della sua cattedra e di tre (tre!) libri
pubblicati sul tema specifico dei campi di
concentramento tedeschi, sancisce che le posizioni di
Serge Thion sono «scientificamente del tutto errate»
e le tesi di Faurisson «prive di fondamento»?
Sarebbe un errore madornale paragonare
le scienze storiche a quelle naturali e, quindi,
paragonare le tesi revisioniste all'affermazione «che
la terra è piatta». Le scienze naturali si basano su
dati di fatto legati alla percezione sensibile d'una
realtà concreta e presente:
così, ad esempio, le fotografie satellitari ci mostrano
incontrovertibilmente che la Terra è tonda. La
storiografia, invece, studia fenomeni astratti e
passati,
realtà intangibili per il ricercatore. Nessun senso
umano e nessuna tecnologia potrà fornire allo studioso
la prova definitiva
d'una ricostruzione storica. Si possono raggiungere
“quasi certezze” (quando cioè i critici d'una teoria
sono assenti: nessuno oggi nega che poco più di duemila
anni fa sia vissuto un personaggio chiamato Giulio
Cesare), ma non “certezze assolute”. Ecco perché non
solo le libertà civili dell'Italia, ma il bene stesso
delle scienze storiche, richiedono che nessuno s'arroghi
il diritto di bandire di forza o d'autorità chi non la
pensa come lui: sarà la libera discussione e l'aperto
scambio d'argomentazioni a sancire chi è attendibile e
chi no, in un processo di valutazione individuale
e non imposto a tutti dall'alto.
Il Comitato contro la Repressione
della Libertà di Parola e di Pensiero
[12]
La terminologia di Mantelli ricorda da vicino
quella d'un procedimento inquisitorio: ad essere
giudicata meritoria di punizione è non tanto
l'eresia in sé, quanto la “pervicacia” nel
sostenerla.