Cosa c’è in un
nome?
Bob Finch
Tradotto
dall'inglese in italiano da Manno Mauro, membro di Tlaxcala,
la rete di traduttori per la diversità linguistica (tlaxcala@tlaxcala.es).
Questa traduzione è in Copyleft.
Introduzione
Bob Finch, un amico della terra, un uomo che
conosce il valore delle parole, un tempo un appassionato
seguace di Hannah Arendt, affronta il problema del nome che
potremmo usare per lo Stato Ebraico in Palestina.
Ebbene, cosa c’è in un nome, disse il Poeta.
Giulia non sarà forse altrettanto amabile se la si chiamerà
con un altro nome? Non sono sicuro se Romeo sarebbe
ugualmente infatuato di lei se si chiamasse Mabel o
Sineddoche. Gran parte dell’attuale infatuazione
dell’Occidente per lo stato ebraico è dovuta al suo nome,
che viene proclamato e esaltato nelle chiese ogni giorno da
duemila anni. Mi chiedo se l’influenza ebraica sull’Europa e
sugli Stati Uniti sarebbe mai giunta al livello attuale se
lo stato ebraico si chiamasse Birobigian e fosse collocato
sulla riva nord del fiume Amur. Secondo le argute parole di
Lady Michelle Renouf, i sionisti hanno plagiato il marchio
più pubblicizzato (dai cristiani e dai musulmani) sul nostro
pianeta, il marchio cioè di Israele & Gerusalemme .
Se un nome e un logo di Nike o Coca Cola valgono miliardi, e
rappresentano il patrimonio più grande di queste società,
non sarei sorpreso se il bene più importante dello stato
ebraico si dimostrasse essere – non la bomba di Dimona, né i
carri armati e gli aerei a reazione, né le piantagioni di
aranci, - ma i marchi di Israele e Gerusalemme.
E così gli ebrei impossessandosi della
Palestina hanno dimostrato di aver realizzato una mossa
molto furba.
Facciamo un paragone adeguato. La Casa
Bianca è appartenuta un tempo alla famiglia di George
Washington. Immaginiamo che questa famiglia esista ancora,
costituita oggi, per lo più, da gente di colore, e
immaginiamo che alcuni dei discendenti abbiano perso le loro
abitazioni nel grande disastro di New Orleans. Non sarebbe
forse giusto riconsegnare la Casa Bianca alla famiglia di
George Washington? Si tratta della stessa casa, ma nel
frattempo il marchio della Casa Bianca è stato reso famoso
da tutto il popolo americano. Così la famiglia Washington
non riceverà solo una casa qualunque a Washington DC,
riceverà soprattutto un marchio che vale diversi miliardi.
Una cosa del genere è accaduto con il sionismo: hanno
chiesto ed ottenuto non solo un pezzo di terra, ma anche il
marchio meglio pubblicizzato (da altri). I furbi ebrei di
New York sono per la pace con i palestinesi, (ma sono
decisi a tenersi Gerusalemme) perché hanno capito la
differenza di valore tra il lucente nome di marchio “Israele
& Gerusalemme” e quello degradato di proprietà come Gaza e
Nablus.
Non possiamo riconquistare la Terra Santa
con la forza delle armi ma possiamo riappropriarci dei
marchi. Il nome di Israele appartiene di diritto alla Chiesa
Cristiana, e, dal punto di vista cristiano, gli ebrei non
hanno il diritto di rivendicare il titolo di Israele.
Chiunque usi questo nome per chiamare lo stato ebraico nega
Cristo e la Chiesa, l’unico vero Israele. Dovremmo imparare
dai greci che saggiamente non hanno permesso ai loro vicini
di usare il marchio “Macedonia” per chiamare il loro paese,
ed hanno costretto l’Unione Europea a chiamarlo FYRM (Former
Yugoslavian Republic of Macedonia, cioè: Ex-Repubblica
Yugoslava di Macedonia).
Potremmo chiamare lo stato ebraico col nome
che essi preferiscono ed usano, “Yisrael”, secondo la
moderna pronuncia ebraico-americana, come io proposi a suo
tempo nel mio libro The Pardes. Se proprio piace loro
tenersi questo nome. Yidland, lo stato degli Yid è un’altra
possibilità. Yid non è un modo offensivo di chiamare gli
ebrei, è il modo in cui gli ebrei chiamano se stessi, così
come i germanici chiamano se stessi Deutsch.
Bob Finch propone di chiamare il loro stato
“The Jews-Only State”, o JOS, parente a ZOG.
Comunque, sembra del tutto ragionevole cancellarli entrambi
dalla carta geografica. I nomi contano!
Israel Shamir.
Cosa c’è in un nome?
Bob Finch «
carbonomics@yahoo.co.uk »
Questo articolo riporta le ragioni che mi
spingono ad usare i termini “Jews-Only State in Palestine”
(Stato per Soli Ebrei in Palestina) invece delle dizioni
solitamente accettate come ‘Stato Israeliano’ o ‘Governo
Israeliano’.
L’elemento catalizzatore per il cambio di
questa terminologia fu una protesta politica. Nel settembre
2001 Jack Straw, il sinistrese ministro degli esteri
britannico, visitò vari paesi del Medio Oriente per
verificare se ci fosse un qualche terreno comune per
rilanciare le trattative di pace in Palestina. Andò subito a
sbattere contro il muro sionista. Mentre era impegnato nel
suo giro, fu pubblicata una lettera che egli aveva scritto
prima della sua partenza e alcuni membri del governo Sharon
reagirono con rabbia al suo contenuto. “Il sig. Straw, che
ieri ha iniziato un viaggio di 4 giorni in Medio Oriente, ha
suscitato una controversia per aver scritto una lettera
nella quale per ben due volte ha fatto riferimento alla
Palestina. Gli israeliani non riconoscono quel termine per
questa parte del Medio Oriente. Un ministro del governo
israeliano ha definito i commenti del sig. Straw una
«oscenità» che, ha affermato, trasformano Israele da vittima
del terrorismo in accusato” (Mirror, 25.9.2001 p. 5).
Con un secco rifiuto politico senza precedenti, Ariel Sharon
si rifiutò di incontrarlo. L’incontro ebbe infine luogo ma
solo dopo l’intervento personale di Tony Blair, che accettò
che da allora in poi il suo ministro degli esteri si sarebbe
attenuto ai desideri di Sharon. “Lo strepito è iniziato
quando il Sig Straw ha affermato che la rabbia per la triste
condizione dei palestinesi sta contribuendo ad alimentare il
terrorismo. Egli ha anche usato il termine Palestina, un
termine che Israele non riconosce. Downing Street (sede del
Primo Ministro britannico) ha dichiarato che «non c’era
intenzione di offendere» da parte del Sig. Straw. il
portavoce del Primo Ministro ha aggiunto che il governo da
ora in poi userà i termini «Autorità controllate dai
palestinesi» invece di Palestina. Il Sig. Straw ha detto da
parte sua «Mi oppongo fermamente al terrorismo di cui hanno
sofferto gli israeliani» (Mirror, 26.9.2001, p. 5).
Nel caso qualcuno pensasse che questa faccenda si limita ai
rapporti della Gran Bretagna e lo Stato per Soli Ebrei è
bene far notare che, secondo un commentatore, “ (Jack Straw)
ha almeno avuto il coraggio di pronunciare la parola che
inizia con «P», parola che Washington si tiene alla larga di
usare” (Paul Routledge, Mirror, 26.9.2001).
Malgrado la mia lunga frequentazione della
politica mediorientale, rimasi sconvolto di apprendere della
proibizione dell’uso della parola «Palestina». Come sarebbe
mai stato possibile portare la pace in Palestina se i
razzisti ebraici erano in condizione di costringere i
governi occidentali a non usare più il nome del paese al
quale questi governi stavano cercando di portare la pace?
Dopo di ciò, per protesta personale, decisi di smettere di
usare i termini «Stato Israeliano» o «Governo Israeliano».
Cercai varie sostituzioni come ad esempio «Stato Sionista in
Palestina», prima di decidermi per il nome, in verità
piuttosto brutto e contorto, di «Stato per Soli ebrei in
Palestina» o in breve «Stato per Soli Ebrei». Pensai che non
era giusto permettere a dei razzisti di stabilire quali
concetti io dovessi usare. L’uso di concetti razzisti come
ad esempio «Stato Israeliano» dà al razzismo una patina di
normalità e quindi lo rende politicamente accettabile. Tra
l’altro, bisogna dire che Jack Straw tornò in Inghilterra
ormai uomo politico castigato e da allora in poi non ha mai
mancato di recitare il versetto suggeritogli dallo Stato per
Soli Ebrei.
Nel periodo in cui decisi di non usare più
la parola Israele, sostenevo la soluzione del conflitto in
Palestina secondo la linea dei due stati preconizzata dalle
Nazioni Unite. Ma poi mi imbattei in un articolo di Joseph
Massad che proponeva la soluzione di un singolo stato. Senza
rendermene conto, ero rimasto così condizionato dal sostegno
alla convenzionale soluzione dei due stati che mi ci volle
un bel po’ di tempo per ragionare sui meriti della sua
argomentazione e cambiare la mia idea. Più mi convincevo
della posizione di Massad, più sembravano diventare
ridondanti per me termini come ‘Israele’ e ‘stato
israeliano’. Questo rendeva ancora più pressante la
necessità politica di trovare una formulazione alternativa.
Una delle formulazioni alternative che
attirò la mia attenzione fu «stato ebraico». Il fatto che
implicasse uno stato monoculturale mi sembrava rendere bene
il rampante razzismo ebraico in Palestina. E tuttavia,
gradualmente, mi resi conto che questa formulazione non solo
era del tutto insoddisfacente ma anche molto pericolosa. Era
un’espressione usata dai razzisti ebraici per indicare il
loro progetto di completa pulizia etnica dei palestinesi. Il
grande vantaggio politico dell’uso di questa espressione,
per loro, era che essa creava una impressione favorevole
dello stato per soli ebrei presso le persone non razziste,
come se si trattasse di una cosa innocua al pari
dell’espressione «stato francese», o «stato britannico». La
cosa lasciava intendere che lo «stato ebraico» fosse uno
stato multi-culturale come lo sono la Gran Bretagna o la
Francia. Ma lo «stato ebraico» non è uno stato
multi-culturale – e i membri di culture differenti non vi
hanno esattamente gli stessi diritti. Al contrario, si
tratta di uno stato razzista. I razzisti ebraici in questo
modo usavano scaltramente quest’espressione per ostentare i
loro scopi razzisti mentre andavano nascondendo la natura
razzista dello stato ebraico dietro connotazioni positive di
multi-culturalismo. Laddove risultava evidente che uno stato
per soli ebrei era uno stato ebraico, non era altrettanto
evidente che uno stato ebraico era uno stato per soli ebrei.
C’è certamente qualcosa di errato nel fatto che razzisti e
antirazzisti usino la stessa terminologia.
Iniziai a usare l’espressione «stato per
soli ebrei in Palestina» perché essa denota esplicitamente
uno stato di apartheid. Lo stato per soli ebrei (da ora in
poi SSE, ndt) nega ai palestinesi che si trovano nello stato
per soli ebrei gli stessi diritti degli ebrei. L’uso
dell’espressione «palestinesi d’Israele» veniva usata per
ingannare il mondo e fargli credere che i palestinesi che
vivono all’interno dello stato per soli ebrei hanno gli
stessi diritti degli ebrei. Ancora oggi ci sono degli
antisionisti nel movimento pacifista che promuovono l’idea
che i palestinesi e gli ebrei hanno gli stessi diritti
all’interno dello stato per soli ebrei. Rimane ancora da
appurare se questi attivisti pacifisti ignorino la verità o
siano invece dei veri sionisti che pretendono di essere
soltanto ebrei per poter promuovere meglio la propaganda
sionista. Ma, nell’uno o nell’altro caso, costoro non
dovrebbero essere ammessi nel movimento pacifista.
Naturalmente, i palestinesi dei territori occupati non hanno
nessun diritto e quindi nessuna protezione da parte dello
stato per soli ebrei. Per esempio, lo SSE in Palestina ha
recentemente decretato che il neo eletto governo di Hamas fa
parte dell’asse del male, per cui esso (lo SSE) si è
impegnato in una politica volta ad azzoppare l’economia
palestinese per portare i palestinesi alla fame affinché si
sottomettano o forse perché siano costretti a lasciare il
loro paese.
Un’altra ragione per usare l’espressione SSE
è l’esattezza storica di questa definizione. Lo SSE sta
diventando sempre più uno stato solo per gli ebrei. Fin dal
momento in cui è stato fondato lo SSE, la Palestina è andata
progressivamente acquisendo una identità sempre più ebraica,
mentre contemporaneamente è andata perdendo la sua identità
palestinese. Per esempio, i villaggi palestinesi sono stati
demoliti ed ogni traccia della relazione tra la terra e i
palestinesi è stata sradicata. Ancora oggi, case di
proprietà palestinese continuano ad essere espropriate e poi
demolite. Gli ebrei quindi costruiscono nuove case per dare
alla terra un’identità ebraica. Jennifer Loewenstein ci
ricorda la grande varietà di sistemi a cui lo SSE ricorre
per cancellare dalla Palestina ogni traccia dell’esistenza
palestinese. “Con ogni nuovo mattone usato per costruire gli
insediamenti, ogni nuova strada tracciata in direzione degli
insediamenti di Ariel, Maale Adumim, Gush Etzion e oltre,
con ogni permesso negato (ai palestinesi) per lavorare,
studiare, curarsi, viaggiare, con ogni camion articolato
palestinese carico di prodotti che marciscono perché fermato
ai valichi di Sufa o Karni, con ogni dollaro di tasse o
diritti doganali rubato ad un popolo imprigionato sulla
propria terra, Israele dimostra il suo disprezzo per la
decenza umana e ottiene standing ovation nel
congresso degli Stati Uniti o altrove” (Jennifer
Loewenstein, Watching the Dissolution of Palestine,
24 febbraio, 2006,
http://www.counterpunch.org/loewenstein02242006.html
). I palestinesi, che si trovino all’interno o all’esterno
dello SSE, ora posseggono molto meno terra di quanto ne
possedessero nel passato. Anche se i palestinesi posseggono
ancora della terra nelle aree occupate, lo stato degli
squatters ha imposto tante restrizioni alla libertà di
movimento che l’attaccamento dei palestinesi alla loro terra
viene spezzato ogni giorno di più.
Storicamente, lo SSE sta aumentando i
diritti politici dei soli ebrei mentre sta riducendo quelli
dei palestinesi. Alla fine del processo i palestinesi
imprigionati all’interno dello SSE saranno resi privi di
stato allo stesso modo dei palestinesi che vivono fuori
dello SSE, “qui stiamo parlando di un quasi genocidio, nel
futuro. Sebbene io non credo che questo avverrà realmente e
spero che il mondo non starà a guardare. Ma per i
palestinesi in Israele, dove il pericolo non è altrettanto
imminente, il futuro significa ancora meno diritti, diritti
sociali, diritti civili, diritti umani, di quanti ne abbiano
oggi. Hanno ancora diritti limitati, ma le cose
peggioreranno. Lo stato ebraico diventerà più etnico, più
razzista, più esclusivo e chiunque non sia un ebreo, o non
sia considerato ebreo, è destinato a soffrirne molto di più
in futuro di quanto già non soffra adesso” (Prof. Ilan
Pappe, citato in Steve Zeltzer «Ilan Pappe riguardo al
conflitto Israele-Palestina» Labor Video Project Cable TV
Program 29 ottobre 2005,
http://www.radio4all.net/proginfo.php?id=16276 ).
L’espressione «SSE» è più esatta delle altre
possibilità anche dal punto di vista politico, nel senso che
essa implica che ci sono molti ebrei razzisti in Palestina e
nel mondo che vogliono deportare o addirittura sterminare i
Palestinesi che ancora si trovano in Palestina. Genevieve
Cora Fraser è solo l’ultima commentatrice che conclude che
gli ebrei sono impegnati a commettere un genocidio contro i
Palestinesi. “Se Israele continua ad averla vinta, quanto
tempo ci vorrà prima che la Palestina si trovi in una
situazione simile – specialmente se, per l’ennesima volta,
Israele scatena il regno del terrore con nuovi incessanti
assalti militari? Per circa 6 decenni i palestinesi sono
stati sottoposti ad una pulizia etnica sistematica –
cacciati dalla loro terra, e Israele ha troppo spesso
impedito la consegna di cibo, accesso alle medicine e
all’acqua (ci sono centinaia di risoluzioni dell’ONU contro
Israele che lo documentano). Tuttavia, la completa
privazione economica sulla cui strada insiste Israele
attualmente, nella mia opinione, è molto più di uno schiaffo
in faccia alla democrazia per il rifiuto di riconoscere un
governo eletto guidato da Hamas, è un tentativo di
commettere un genocidio contro i palestinesi” (Genevieve
Cora Fraser, «Israeli Defense Minister Declares Palestine
‘Axis of Evil’», 23 feb., 2006,
http://www.dissidentvoice.org/Feb06/Fraser23.htm ).
Certo, per alcuni ebrei il modo migliore per cancellare il
marchio di vivere in uno stato di apartheid sarebbe di
eliminare ogni possibile traccia dei palestinesi dalla
Palestina !
C’è un altro elemento che apporta ulteriore
legittimazione all’espressione ‘SSE in Palestina’, ed è
quella tendenza tra gli ebrei in Occidente di fondare
organizzazioni «per soli ebrei». In Inghilterra ci sono le
organizzazioni «Ebrei in favore della giustizia per i
Palestinesi», «Ebrei contro il sionismo», «Ebrei per una
giusta pace», «Gruppo socialista ebraico»,. In Scozia ci
sono «Ebrei scozzesi per una giusta pace». In America, «Voci
ebraiche per la pace». Da poco è stata fondata una nuova
organizzazione, chiamata «Ebrei contro la diffamazione
anti-cristiana». Il suo obiettivo è fare per i cristiani
ciò che la Anti-Defamation League ha fatto per gli ebrei!
Succederà forse che degli ebrei si metteranno a spiare e a
compilare dossier di americani con lo scopo di proteggere la
Cristianità? Questi che ho citato, sono gruppi in cui mi
sono imbattuto per caso e ci sarebbe da chiedersi quanti
altri ne uscirebbero fuori con una ricerca approfondita.
Personalmente, non mi ero mai imbattuto in tanti esempi di
separatismo politico al di fuori dei gruppi femministi per
sole donne.
I gruppi ebraici summenzionati non sono
organizzazioni ebraiche che sfacciatamente predicano la
supremazia ebraica come la World Zionist Organization o
l’AIPAC, impegnate a portare avanti il dominio politico
degli ebrei nel mondo. Al contrario, alcune di esse sono
apparentemente pro-palestinesi; altre dichiaratamente
antisioniste. Ma c’è un evidente denominatore comune tra lo
SSE ebrei e le Organizzazioni per Soli Ebrei (da ora in poi:
OSE, ndt). Oltre agli elementi comuni dati dalla logica
separatista ed esclusivista, tuttavia, ci si deve chiedere
quanto lo status speciale o addirittura il concetto di
supremazia insiti nel termine SSE non entrino subdolamente
nella concezione delle altre OSE.
Paul Oestreicher sembra avere una conoscenza
personale di alcuni ebrei impegnati nelle OSE, il che
dìssipa qualsiasi timore o dubbio egli abbia potuto avere
verso quelle organizzazioni, «In Gran Bretagna, gli “Ebrei
in favore della giustizia per i Palestinesi” si organizzano
per dare un volto umano alla natura ebraica. Dite loro che
sono antisemiti e rideranno amaramente, perché l’accusa fa
molto male ed è una bugia. ( Paul
Oestreicher, «Israel’s policies are feeding the cancer of
anti-Semitism», 20 febbraio 2006,
http://www.guardian.co.uk/print/0,329416218-103552,00.html
).
Malgrado l’autorità morale di Oestreicher,
l’accettazione da parte sua delle OSE non farà sparire i
dubbi. Le OSE fanno sorgere una schiera di domande sul loro
vero programma. Perché gli ebrei sentono il bisogno di
organizzarsi separatamente? Cosa nascondono? Di cosa hanno
paura? Stanno forse cercando di promuovere l’idea che gli
ebrei sono vittime? Perché non possono organizzare un
movimento anti-apartheid a cui tutti possano aderire e tutti
contribuire a combattere il razzismo ebraico? Stanno forse
cercando in segreto di distruggere l’opposizione ebraica
allo SSE? Sono forse i guardiani contro la critica dello
SSE? Qual’è il vantaggio di escludere i non ebrei? Le
domande che nascono sono tante. A dir poco, i non ebrei
perderanno il loro tempo a chiedersi a che cosa veramente
servano queste organizzazioni. C’è anche un altro problema,
che cioè questo tipo di organizzazioni contribuiscono a
distogliere l’attenzione dalle ragioni per cui stanno
lottando. Ma nel peggiore dei casi, esse alimenteranno i
sospetti e la diffidenza. E’ effettivamente impossibile che
un simile esclusivismo per soli ebrei non sollevi dubbi
riguardo al suo latente desiderio di supremazia
(Supremacism), specialmente vista la volontà egemonica dei
razzisti ebraici nello SSE. E’ cosa veramente assurda che le
OSE si mettano a copiare la pratica dello SSE e poi
pretendano dai non ebrei che essi credano che queste
organizzazioni si oppongono allo SSE. La battuta di Israel
Shamir riguardo a simili organizzazioni mette a nudo la loro
assurda posizione politica, “Il concetto di «Ebrei per la
Giustizia», «Ebrei per la Pace» ed altre organizzazioni
separatiste per soli ebrei che però perseguono obiettivi
comuni mi appare altrettanto ingiustificabile quanto una
organizzazione di soli bianchi contro l’Apartheid.
L’uguaglianza in Sud Africa è stata raggiunta superando
simili dubbi raggruppamenti, ed arrivando alla forza
multirazziale dell’ANC. Si direbbe che la causa della
giustizia in Palestina non è un caso diverso. Perché allora
esistono simili gruppi?” (Israel Shamir, «The New Bund at
Old Tricks» (Il nuovo Bund ricorre a vecchi trucchi) , 11
luglio 2005,
http://www.israelshamir.net/Left/Left1.htm ).
Anche Jeff Blankfort mette in discussione
questo tipo di organizzazione ma da un altro punto di vista,
“In questo paese è stato usata (l’accusa di antisemitismo,
ndt) per mettere a tacere molte persone. E questa è una
delle ragioni per cui sono contrario a che organizzazioni
esclusivamente ebraiche si mettano alla testa della lotta
per la Palestina. Ciò che accade è che ci sono molti ebrei
anti-sionisti, che dicono di essere tali, che affermano
«Noi, in quanto ebrei antisionisti, dobbiamo prendere la
direzione del movimento affinché gli altri vedano che non
tutti gli ebrei sostengono Israele». Sono totalmente contro
questo modo di fare, perché, tutti i contribuenti americani
pagano le imposte, e quindi tutti sostengono Israele. E' un
problema di tutti gli americani! Sostenendo che è
assolutamente necessario che i dirigenti del movimento siano
ebrei, che ci sono degli ebrei antisionisti, dicendo che gli
ebrei fanno questo, fanno quello, in realtà, che cosa
significa questo per i non-ebrei? Quest’ultimi concludono:
«Voi, se vi potete permettere di fare ciò, è perché siete
ebrei». E' una cosa che viene fatta da tanto tempo, e
francamente non funziona!” (Jeffrey Blankfort, citato in
Réseau Voltaire, «The Chomsky-Blankfort Polemic»,
20 febbraio 2006,
http://signs-of-the-times.org/signs/editorials_TheChomskyBlankfortPolemic.php
).
La definizione «Stato per soli ebrei» è
legittima anche perché aiuta a spiegare anche il fenomeno
della miope trasformazione, operata dall’industria
dell’olocausto, dei massacri del totalitarismo degli anni
’30 e ’40 in un massacro esclusivamente ebraico. Siccome
considero ancora le opere di Hannah Arendt cariche di un
profondo significato politico e storico, ritengo che il
massacro degli ebrei deve essere collocato all’interno del
più ampio contesto della nascita e della caduta del
totalitarismo. Durante il periodo del totalitarismo, decine
di milioni di persone furono uccise. E tuttavia, se chiedete
a qualsiasi inglese (e probabilmente a qualsiasi
occidentale) cosa intende per ‘Olocausto’ quasi sicuramente
vi risponderà ‘il massacro di sei milioni di ebrei’. Sebbene
i nazisti abbiano mandato nei campi di concentramento e
sterminio non solo ebrei ma anche comunisti, prigionieri di
guerra, anziani, malati, omosessuali, avventisti del settimo
giorno, slavi, serbi, cechi italiani, polacchi, ucraini,
zingari, ecc, l’industria dell’olocausto ha trasformato
questa valanga di morti in un massacro esclusivamente
ebraico. Ury Avnery ha descritto il modo in cui molti ebrei
sono giunti a credere che gli ebrei siano stati le uniche
persone uccise dai nazisti o, peggio ancora, che tra coloro
che furono assassinati, gli unici che contavano veramente
sono gli ebrei. “La centralità dell’Olocausto nella
coscienza ebraica ha fatto sì che essi insistessero sulla
sua assoluta unicità. Noi siamo colpiti e ci infuriamo
quando qualcuno cerca di ricordarci che i nazisti
sterminarono anche altre comunità, come gli zingari, gli
omosessuali e i malati mentali. Ci arrabbiamo quando
qualcuno si fa avanti e paragona il “nostro” Olocausto con
altri genocidi: gli armeni, i cambogiani, i tutsi in Ruanda
ed altri. Niente di meno! Come si possono fare simili
paragoni?” (Uri Avnery, «Memory of
the Holocaust – from Jewish property into human possession»,
http://www.gush-ahalom.org/archives.html#articles,
19 marzo 2005). Il business della
shoah, che tanto profitto procura, ha trasformato il
totalitarismo in olocausto razzista di soli ebrei.
Un enorme numero di britannici morirono
durante il secondo conflitto mondiale. Si è trattato di una
delle perdite più grandi di vite umane di cui ha sofferto il
paese. Da quel disastro in poi, i media britannici hanno
pubblicato in continuazione documentari sulla seconda
guerra mondiale o hanno prodotto sceneggiati ambientati in
quel periodo. Gli inglesi, ogni anno, cercano di ricordare
le loro perdite, onorano i loro morti in guerra e celebrano
le loro vittorie che portarono la pace in Europa. Eppure,
malgrado le loro perdite, malgrado che ci siano in vita
ancora molte persone che hanno perduto parenti o amici a
causa della guerra, malgrado il continuo ricordo di quei
giorni oscuri, se chiedete agli inglesi cosa intendono per
‘Olocausto’ essi sorvoleranno sulla propria storia, sulle
proprie sofferenze, sulle proprie perdite e diranno “lo
sterminio di sei milioni di ebrei”. Forse questo
interessamento per altri popoli piuttosto che per se stessi
è solo il risultato della compassione del popolo inglese. Si
deve sospettare che non sia così. Gli inglesi non dimostrano
quasi nessun interesse per le orrende perdite sofferte dai
russi durante il periodo del totalitarismo. Si calcola che
circa 20 milioni di russi siano morti durante quel periodo.
In altri termini, è stato ucciso più del triplo di russi,
rispetto agli ebrei, eppure nessuno in Gran Bretagna, o in
Occidente, fa cenno a un Olocausto russo, o pensa a quei 20
milioni di russi morti, e non c’è in Inghilterra un giorno
dedicato all’Olocausto russo. Questa situazione è tanto più
anomala dal momento che si potrebbe obiettare che se tanti
russi non avessero sacrificato la loro vita per difendersi
dal nazismo e così contribuire a sconfiggerlo, probabilmente
l’Inghilterra avrebbe perso la guerra. Gli inglesi quindi
hanno un enorme debito di gratitudine verso il popolo russo.
Eppure, sorprendentemente, sebbene i russi hanno contribuito
molto, molto di più degli ebrei nella lotta accanto alla
Gran Bretagna contro il nazismo, gli inglesi non sono
neanche consapevoli della riconoscenza che dovrebbero avere
verso i russi ed invece rivolgono la loro simpatia verso gli
ebrei coinvolti nel cosiddetto Olocausto.
Quand’ero studente mi sono entusiasmato per
le opere di Hannah Arendt «L’origine del totalitarismo» e
«Eichmann a Gerusalemme». Credo che questi due libri siano
ancora validi e non ho, da allora, conosciuto un autore che
abbia fornito una migliore interpretazione degli avvenimenti
che portarono alla nascita e alla caduta del totalitarismo o
una analisi politica più profonda di quella nuova forma di
governo. Ripongo la mia fiducia sui fatti che la Arendt ha
presentato e sulla sua teoria politica del totalitarismo.
Nel passato consideravo i revisionisti con disprezzo.
Tuttavia, dopo aver letto il libro di Norman Finkelstein
sull’industria dell’olocausto, sono diventato molto più
cauto sulla interpretazione convenzionale del passato e la
prossima volta che rileggerò i due grandi libri della Arendt
terrò presenti alcuni problemi posti dai revisionisti per
verificare la validità dei fatti che presenta e la sua
analisi. Rimango fiducioso nella veridicità storica delle
sue opere. Non sono quello che io stesso definirei un
revisionista empirico o un negazionista empirico
dell’olocausto. In altri termini, non nego i fatti storici
della nascita e della caduta del totalitarismo. Tuttavia,
sono diventato un revisionista, non dell’olocausto, ma
dell’interpretazione dell’olocausto, nego questa
interpretazione dell’olocausto. Ciò che nego, o volendo
essere più preciso, ciò che condanno, è l’interpretazione
dell’ “Olocausto” come lo sterminio di soli ebrei. Una tale
interpretazione è implicitamente razzista. Porterei in
petto senza problemi, anzi con orgoglio, un distintivo con
sopra scritto “Negazionista dell’interpretazione corrente
dell’Olocausto”.
Il totalitarismo va svanendo nel passato ma
dopo aver subito un processo di vitale distillazione in modo
tale che, politicamente, esso oggi serve a darci una
fondamentale lezione di storia, un avvertimento dei pericoli
politici che devono essere evitati. Tuttavia lo sterminio
degli ebrei non segue lo stesso percorso. Al contrario, esso
ha subito un lancio pubblicitario senza proporzioni, come un
film d’azione hollywoodiano, diventando “L’OLOCAUSTO”. Le
emozioni politiche sull’argomento vengono continuamente
alimentate fino al punto in cui esso è ormai diventato una
secolare crociata fanatica che nel mondo occidentale
risucchia tutti in un vortice di isteria e senso di colpa.
In tutta la sua vita Ariel Sharon ha accusato chiunque non
fosse d’accordo con lui di essere un nuovo Hitler – è giunto
perfino a denunciare George WMD Bush di essere un nuovo
Chamberlain. Il più piccolo commento anti-ebraico, per
quanto mite e innocente, viene immediatamente riportato alle
autorità ebraiche e convertito in prova d’acciaio che si
vogliono riattivare i campi di concentramento. Oggigiorno
tutte le volte che qualcuno fa riferimento all’ ‘Olocausto’
come lo sterminio di sei milioni di ebrei, io di solito
rispondo “E che ne dite della disumanizzazione e la
demonizzazione di sei milioni di palestinesi da parte degli
ebrei?” Permettere alla propaganda dell’Olocausto di
raggiungere tali livelli di irrazionalità patologica
rappresenta il vertice dell’umana follia al punto che può
essere usata per causare il genocidio di sei milioni di
palestinesi che non hanno avuto alcuna colpa nello sterminio
degli ebrei durante il periodo del totalitarismo. La
simpatia per la sofferenza degli ebrei nel lontano passato
non può, in nessuna circostanza, essere usata per chiudere
gli occhi su ciò che lo SSE sta facendo oggi ai palestinesi.
C’è una differenza precisa tra mantenere vivo il passato
come guida per costruire un futuro civile e invece usarlo
come una clava per ripetere il passato. I razzisti ebrei
nello SSE stanno infliggendo ai palestinesi ciò che i
nazisti hanno inflitto agli ebrei europei. Sempre più è
difficile distinguerli dai nazisti. Non gli si può
permettere di dare sfogo ai loro incubi nazisti su un popolo
innocente come i palestinesi.
La definizione ‘Stato per soli ebrei’ è più
adeguata delle altre alternative per il fatto che possiede
ovvie somiglianze con altri sistemi di apartheid dove di
solito si mettevano in evidenza avvisi pubblici del tipo
‘riservato ai neri’ o ‘riservato ai bianchi’. Tenendo conto
del modo in cui molti ebrei nel mondo hanno cercato di
sostenere che lo SSE in Palestina non ha nulla in comune con
il passato regime di apartheid in Sud Africa, la definizione
‘Stato per soli ebrei’ rende questo paragone inevitabile.
Una simile definizione potrebbe anche attirare l’attenzione
della gente al fatto che gran parte del sostegno che lo
stato razzista per soli ebrei riceve attualmente provenga
dagli stati americani del profondo sud dove un tempo vigeva
l’apartheid.
Naturalmente, gli ebrei sono liberi di
definire il loro stato come vogliono. Ma io non desidero
ricorrere alle loro concezioni e dar loro una
giustificazione terminologica per il loro stato illegale,
assassino, razzista e genocida. Lo SSE, e i suoi alleati in
Occidente, pretende di essere uno stato occidentale,
moderno, secolare, liberale e democratico, ma è facile
rigettare queste pretese. E’ tempo di essere più decisi e
contestare il nome che gli ebrei razzisti danno al loro
stato. Credo che la definizione ‘Stato per soli ebrei’ è
storicamente, politicamente e moralmente più adeguata
rispetto a tutte le altre possibili alternative.
Per uno studio più approfondito del fenomeno
dell’esclusivismo per soli ebrei si veda:
http://www.geocities.com/carbonomics/MCtfirm/10tf26/10tf26mg.html
oppure si veda il mio blog:
http://mundiclub.blogspot.com/2005/03/jews-only-state-in-palestine-part-one.html
Commenti che hanno messo in risalto questa
realtà per soli ebrei.
Edward S. Herman.
“In secondo luogo, allo stato israeliano è
stato concesso ignorare numerose risoluzioni del Consiglio
di Sicurezza e la Quarta Convenzione di Ginevra in relazione
alla sua occupazione della Cisgiordania, così pure gli è
stato permesso di non preoccuparsi della decisione della
Corte Internazionale di Giustizia sul Muro dell’Apartheid, e
quindi di continuare a derubare i palestinesi di una gran
parte della loro terra e della loro acqua, demolire migliaia
di loro case, abbattere molte migliaia di loro ulivi,
distruggere la loro infrastruttura e creare una moderna rete
di strade per soli ebrei attraverso la Cisgiordania occupata
mentre contemporaneamente vi si ostacola seriamente il
movimento dei palestinesi” (Edward S Herman, «Western
Approval for Long Term Israeli Ethnic Cleansing», Z
Magazine, marzo 2006).
Jennifer Loewenstein.
“La Giudea e la Samaria che sono, o erano,
la parte settentrionale e meridionale della Cisgiordania,
sono state, nel corso di decenni, suddivise e parcellizzate
tra centinaia di migliaia di coloni ebrei perché vi
costruissero le loro case coi loro giardini e frutteti. Sono
state costruite strade per soli ebrei in lungo e largo e in
circolo che legano a Israele le terre colonizzate, le case,
i giardini e i frutteti dei coloni. Su queste terre sono
stati piazzati guardiani, uomini armati, carri armati e
bandiere israeliane blu e bianche, il tutto per difendere,
proteggere e assicurare i coloni, le loro case, i loro
giardini e i loro frutteti, in modo che sia chiaro che essi
sono israeliani che appartengono ad un singolo stato
ebraico”. (Jennifer Loewenstein,
Watching the Dissolution of Palestine, 24 febbraio,
2006,
http://www.counterpunch.org/loewenstein02242006.html
).
Ilan Pappe.
“Israele controlla la vita di due gruppi di
palestinesi: i cittadini palestinesi all’interno di Israele
e i non-cittadini palestinesi sotto occupazione. Si tratta
di due gruppi molto diversi. Ritengo che il gruppo sotto
occupazione è seriamente minacciato; sussiste ancora la
possibilità che questa gente subisca, un’altra volta, la
pulizia etnica, e che massacri di massa siano commessi
contro di essa” (Prof. Ilan Pappe, citato in Steve Zeltzer
«Ilan Pappe riguardo al conflitto Israele-Palestina» Labor
Video Project Cable TV Program,
http://www.radio4all.net/proginfo.php?id=16276, 29
ottobre 2005).
John Spritzler
“Questa è la ragione per cui Israele
imprigiona i palestinesi in campi di rifugiati o all’interno
di zone circondate da posti di blocco militari; questa è la
ragione per cui Israele li sottomette a duri coprifuoco, li
esclude dalle strade per soli ebrei....”
(John Spritzler, Should People Opposed
to Bigotry and Anti-Semitism Support Israel?
http://newdemocracyworld.org/War/Should-People.htm,
6 febbraio 2006).
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