IL VERO VOLTO DI GESÙ
Paul Badde“Die Welt” del 23
settembre 2004
E’ una delle reliquie più
preziose della Cristianità che per molto tempo era
considerata dispersa: il Telo della Veronica. Il nostro autore
ha fatto una scoperta in Abruzzo.
Com’era il viso di Gesù?
Forse come Jim Caviezel nel film “La Passione”? O forse
come i ritratti di Cristo di Dürer o El Greco appesi sui muri
del palazzo papale? Tutti questi artisti non hanno mai visto
Gesù! E allora, com’era il suo aspetto? Esiste una risposta
molto molto antica a questa domanda: si tratta di un telo con
la “vera immagine” di Cristo, che neanche il Papa ha mai
visto.
E’ difficile parlare di questo argomento in Vaticano, poiché questa
immagine è diversa. Fino all’anno 1600 era custodita nella
vecchia basilica costantiniana di San Pietro ed stata vista da
milioni di persone. Ma da allora quasi nessuno ha potuto più
vedere questa “vera icona”. Nella nuova cattedrale di San
Pietro l’immagine di Gesù era custodita con tre catenacci.
Il Cardinale Marchisano, arciprete della basilica, disse a
“Die Welt” che “l’immagine nel corso dei secoli si è
notevolmente sbiadita.” Ma non è soltanto sbiadita, deve
trattarsi piuttosto di un’imitazione (di una finta) di cui
non esiste nessuna valida fotografia. Per questa ragione,
negli ultimi tempi, a coloro che desideravano venerare
l’icona di Cristo veniva mostrata un'altra immagine che si
trova nella sacrestia del Papa di cui si dice che sia la più
antica del mondo.
E
dal suo aspetto si direbbe proprio. Perché con il tempo
l’immagine è diventata quasi nera, come molti antichi
dipinti in tempera su tela. La “vera immagine” di Cristo
però non presenta alcuna traccia di colore. Prima di arrivare
a Roma si trovava a Costantinopoli, e prima ancora in Oriente;
infatti, un testo siriano di Camulia in Cappadocia del VI
secolo d. C. parla di un’immagine “tirata fuori
dall’acqua” e “non dipinta dalla mano dell’uomo”.
Ma quando giunse a Roma attirava gli uomini come una calamita.
I
pellegrini che tornavano da Gerusalemme nella prima metà
dello scorso millennio si decoravano con una palma; simbolo
dei pellegrini di Santiago de Compostela fino ad oggi è la
conchiglia; ma i pellegrini che si recavano a Roma spillavano
alle loro mantelle miniature della “Sancta Veronica
Ierosolymitana”, la santa Veronica di Gerusalemme. Le
fondamenta della nuova Cattedrale di San Pietro, secondo il
volere di Papa Giulio II, dovevano comprendere anche quelle di
un’enorme “camera blindata” per custodire questo tesoro
unico.
Durante
il periodo di costruzione della Cattedrale, la cui
architettura sfarzosa all’epoca era molto discussa,
l’immagine sparì in modo misterioso. Ne rimase soltanto una
cornice veneziana con vetri antichi frantumati, che si vede
ancora oggi nel Tesoro di San Pietro. In realtà l’immagine
non è scomparsa: da più di 400 anni la più preziosa
reliquia della cristianità, davanti alla quale l’Imperatore
di Bisanzio si poteva inginocchiare una volta all’anno, è
conservata tra due lastre di cristallo nella piccola chiesa -
spesso vuota per ore - dei frati Cappuccini a Manoppello, un
paese montano dell’Abruzzo. È l’immagine che guidava
l’Europa e che si credeva perduta. Oggi finalmente si può
dire che è stata ritrovata: contro luce sbiadisce,
nell’ombra si scurisce, ma non svanisce né si rovina.
L’immagine
mostra il viso barbuto di un uomo con i riccioli alle tempie,
al quale è stato rotto il naso, trattamento che oggi
subiscono gli ostaggi nelle camere di tortura dei moderni
“guerrieri di Dio” - o i prigionieri di Abu Ghraib. La
guancia destra è gonfia, la barba parzialmente strappata. Ad
un più attento esame si vede che la fronte e le labbra
mostrano il colore roseo delle ferite appena guarite. Lo
sguardo di quegli occhi esprime una calma inspiegabile.
Sbalordimento, stupore, meraviglia sono nei tratti del suo
volto. C’è dolce pietà, ma non c’è né disperazione, né
dolore, né ira. Sembra il viso di un uomo che si è appena
svegliato dal sonno e guarda verso un nuovo mattino. La bocca
è semiaperta. Si vedono addirittura i denti. Se si volesse
determinare quale suono stanno pronunciando quelle labbra, si
direbbe che stiano formando una lieve A.
*
Le
proporzioni del volto dell’immagine sulla tela della misura
17 x 24 cm sono esattamente quelle di un volto umano. Il velo
è sottilissimo e trasparente come una calza di seta. Da
vicino sembra più una diapositiva che un immagine dipinta.
Contro
luce è trasparente; nell’ombra, senza luce, appare color
ardesia. Una piccola scheggia di cristallo è attaccata al
tessuto in basso a destra della cornice. Alla luce delle
lampadine fa apparire il sottile telo colore dorato e color
miele. Esattamente come Gertrude di Helfta nel XIII secolo ha
descritto il volto di Cristo. Infatti, soltanto con i
contrasti di luce il sottile telo mostra il volto con effetti
di luce tridimensionali, quasi oleografici - su entrambi i
lati, cioè sia nel recto che nel verso. Sembra tessuto in
maniera così fine che, ripiegato, potrebbe entrare in un
guscio di noce.
Il
Prof. Donato Vittore dell’Università di Bari e il Prof.
Giulio Fanti dell’Università di Padova, hanno scoperto dai
loro studi fotografici ad alta definizione che sull’intero
tessuto non ci tracce di colore. Soltanto nel nero delle
pupille le fibre sembrano quasi bruciacchiate, come se un
calore avesse leggermente fuso i fili.
*
Tutto
questo però non è una novità! I contadini e i pescatori
dell’Adriatico, da Ancona a Taranto, nel corso dei secoli
hanno sempre venerato questo velo come il “Volto Santo”,
come effige sacra. Sarebbero stati degli “Angeli” a
portare l’immagine più di quattrocento anni fa, pensano i
Manoppellesi (e si riferiscono a un’antica testimonianza).
Potrebbe essere così, ma sembra più probabile che tra questi
“angeli” fossero nascosti alcuni furbi che avevano
semplicemente rubato la reliquia, commettendo il più
azzardato furto nel periodo delle numerose e avventurose
mascalzonate del Rinascimento. Il cristallo spezzato
dall’antica cornice della Veronica di San Pietro sembra
ancora denunciare questa trafugazione. La leggenda dunque
presenta alcune caratteristiche tipiche di una farsa, di un
giallo, di un romanzo poliziesco, di un dramma – o di un
quinto Vangelo per la nostra epoca pazza per le immagini.
Quando
anni fa il Prof. Heinrich Pfeiffer della Pontificia Università
Gregoriana di Roma ha fatto le prime ricerche scientifiche sul
telo, sia sotto l’aspetto della storia dell’arte che alla
luce delle prime fonti cristiane, ha provato però che
l’immagine di Manoppello era il punto di riferimento delle
più antiche immagini di Cristo, prima in Oriente e poi in
Occidente, la stampa mondiale ha pubblicato la scoperta
semplicemente nella rubrica “Varie”, e tanti suoi colleghi,
come molti prelati e cardinali del Vaticano hanno scosso il
capo ad una tale fantasia debordante di un professore.
*
Era
stata suor Blandina Paschalis Schlömer, una trappista tedesca,
farmacista ed iconografa, a fornire lo spunto agli studi del
professore, dopo aver scoperto e dimostrato con tenacia,
diversi anni prima, che il volto del velo di Manoppello
corrisponde esattamente in ogni particolare al volto
dell’uomo della Sindone, sia nelle proporzioni, sia nelle
misure, sia nei segni delle ferite, ad eccezione
dell’aspetto aperto e fresco delle ferite che si trovano
ancora nell’immagine della Sindone.
*
Ma
tutto ciò ha lasciato indifferente coloro che dubitano
dell’autenticità del velo di Manoppello – al contrario.
La loro obiezione principale è semplice e convincente: si
tratta di un dipinto. Non vale la pena vederlo da vicino.
Sarebbe fatto in maniera troppo raffinata per non essere un
dipinto: gli occhi, le ciglia (visibili solo ad ingrandimento),
i sacchi lacrimali, i peli della barba, i denti (!) sono
disegnati in maniera troppo definita per non tradire la mano
di un artista e maestro. In sostanza questa immagine non
sarebbe certo un modello, ma solo la copia di altre copie di
un originale sconosciuto - o forse semplicemente la copia del
volto della Sindone a Torino.
*
Una
domanda posta fino ad oggi raramente, ma di primaria
importanza è quella del tessuto. Dalla consistenza si direbbe
che si tratti di nylon, se questa ipotesi non fosse assurda
per un tessuto esposto da quattrocento anni. Cotone, lana,
lino sono troppo spessi per permettere quella trasparenza
immateriale e lo splendore madreperlato. Neppure la seta
consente di ottenere questi effetti.
I
frati Cappuccini di Manoppello non permettono ulteriori
indagini scientifiche e chimiche, né di togliere il velo dai
vetri dell’ostensorio, esposto nella loro chiesa
sull’altare maggiore.
“Non
è necessario!” mi ha detto Padre Germano, l’ultimo Padre
Guardiano del convento, alcune settimane fa. “La scienza ci
viene incontro! Si sviluppa così velocemente che dobbiamo
soltanto aspettare.” E’ giusto. Molte foto che negli
ultimi mesi ho potuto realizzare con la mia macchina
fotografica digitale mostrano particolarità come non avevo
mai visto prima in altre foto del tessuto. Il Vangelo di
Giovanni parla di due teli rimasti nel sepolcro vuoto di
Cristo a Gerusalemme. Secondo questa fonte Pietro e
“l’altro discepolo” sono corsi al sepolcro di buon
mattino; ”l’altro discepolo” arrivò per primo, si
inchinò e vide le bende di lino, ma non entrò. Poi arrivò
anche Simone Pietro, che lo aveva seguito ed entrò nel
sepolcro. Vide le bende e il sudario che era stato posto sul
capo di Gesù. Ma il sudario non era vicino alle bende di lino,
ma da un’altra parte piegato a fagottino. Allora entrò
anche l’altro discepolo che era giunto prima al sepolcro e
“vide e credette”.
Questo
sudario, che si trovava nel sepolcro vuoto, per i manoppellesi
è da sempre l’immagine custodita nel loro paese dai frati
Cappuccini, anche se non vi si ravvisano le sia pur minime
tracce di sudore. Del resto il velo è troppo sottile per
assorbire una sola goccia di sudore o di sangue .
*
Roma,
1° settembre 2004, Aeroporto di Fiumicino: un venticello dal
vicino Mar Mediterraneo rinfresca l’aria di una mattina di
tarda estate. L’orologio all’interno dell’aeroporto
segna le ore 07.35 quando il volo Alitalia AZ 1570 proveniente
da Cagliari atterra sulla pista. Alcuni minuti prima i
terroristi nella lontana città di Beslan avevano assalito una
scuola commettendo il crimine più crudele dopo il l’11
settembre 2001.
L’orrore
apocalittico di tante tragedie è diventato il pane quotidiano
per molti giornalisti nel mondo. Ma io quella mattina non
avevo sentito il notiziario, nemmeno più tardi alla radio
sull’autostrada per Pescara. Mentre aspetto l’atterraggio
dell’aereo mi viene da pensare che per i reporter le cose
sono facili: non devono verificare niente, non sono giudici,
avvocati o maestri, possono soltanto dare notizia di ciò che
hanno visto e osservato sotto ogni luce nel corso dei giorni.
Quando
Chiara Vigo varca l’uscita, la riconosco subito nonostante
non l’avessi mai vista. Pier Paolo Pasolini avrebbe potuto
assegnarle il ruolo di protagonista in ogni film. Le sue
unghie sembrano dei fusi. Viene dalla piccola Isola di
Sant’Antioco di fronte alla costa sarda, dove lei è
l’ultima tessitrice del mondo che lavora il bisso marino in
una tradizione tramandata da generazione in generazione.
“Per
il nostro popolo il bisso è un tessuto sacro”, dice in
macchina. Che cosa vuole intendere con l’espressione ”nel
popolo nostro? L’isola forse non fa parte della Sardegna?
“No”, risponde con un riso roco. “Parlo l’italiano
e il sardo e conosco molte canzoni in aramaico. La gente
dell’isola dice di discendere dai caldei e dai fenici e
riconduce l’arte di lavorare il bisso alla Principessa
Berenice, una figlia del Re Erode che divenne l’amante
dell’Imperatore Tito”. Poi alza un bioccolo di bisso
naturale non filato verso la luce del mattino - è più fine
dei capelli d’angelo. L’oro del mare! Nella sua mano
risplende il colore bronzeo sotto il sole. Il bioccolo è
stato ricavato dai fili della “Pinna nobilis”. Nel mese di
maggio, sotto la luce della luna piena, Chiara Vigo si immerge
nell’acqua in una profondità di cinque metri per prenderli
e poi pettinarli, filarli e infine tesserne oggetti preziosi .
Il
bisso è il tessuto il più prezioso dell’antichità. E’
stato rinvenuto nelle tombe dei faraoni e si conosce anche
dalla Bibbia, dove se ne parla come tessuto obbligatorio per
il tappeto all’interno del Santissimo e per l’efod, parte
del vestito del sommo sacerdote. In un bagno di limone diventa
color oro; anticamente si utilizzava l’urina delle vacche
che rendeva il bisso più pallido, più chiaro. Voliamo
sull’autostrada verso Manoppello.
Suor
Blandina ci aspetta sulla collina del santuario. Quando ci
lasciamo alle spalle le canne di un finto organo ed avanziamo
lungo la navata centrale, l’immagine del Volto Santo
risplende contro luce come una rettangolare ostia lattescente
sopra il tabernacolo. La croce formata dal montante e dalla
traversa di una finestra del coro dietro all’altare sembra
attraversare la trama. Una volta salite le scale di fronte
all’immagine Chiara Vigo cade in ginocchio. Un velo tessuto
in maniera così sottile non lo ha mai visto: “Ha lo sguardo
di un Agnello” dice e fa il segno della croce. “Anche di
un leone!” e poi: “Questo è bisso!” Chiara Vigo
lo dice una volta, due volte, tre volte.
In
macchina aveva detto che il bisso può essere tinto solo con
la porpora. “ Il bisso non può essere dipinto. È
impossibile! O Dio! O Dio mio!”
Ma
questo è bisso. Il che significa che questo non è un dipinto,
è qualcosa di diverso, qualcosa prima di ogni immagine.